Le nostre università sfornano ingegneri, developer e data scientist di altissimo livello che però vanno a lavorare fuori. Invece potrebbero restare ed essere affiancati dai professionisti espulsi dalle Big tech statunitensi. Abbiamo competenze, spazio e costi bassi. Ma la politica l’ha capito? (ASCOLTA L'AUDIO)
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Il digitale e l’innovazione, in Calabria, sono da sempre storicamente un buco nero nel quale le risorse e gli annunci non vanno di pari passo, il più delle volte, con i risultati.
L’elefantiaca e poco funzionante burocrazia istituzionale pare aver contagiato un settore che, nonostante l’alto tasso di contaminazione, novità, forza propulsiva e rivoluzionaria che porta con sé, resta invece fortemente abbarbicato a strutture poco funzionanti, a tempi che diventano tremendamente lunghi, a procedure che non si riescono in nessun modo ad abbattere.
Calabria e digitale, ultimi in tutte le classifiche
Anche la narrazione delle startup del cambiamo tutto, del motto di Stanford "think out the box", in Calabria si è perso tra marche da bollo, fideiussioni, bandi dai tempi biblici e procedure cervellotiche: non è questa, intendiamoci, l’ennesima lamentatio su cosa non funziona in Calabria. Semplicemente, è la presa di coscienza di una fotografia che avrebbe potuto essere diversa da quella che attualmente abbiamo tutti noi davanti gli occhi e che, invece, è frutto di una sinossi scritta già mille altre volte.
Lo dicono i dati, lo ripetono le rilevazioni statistiche: nella rilevazione sulla digitalizzazione dei territori, la Calabria è ultima con un differenziale enorme sia rispetto alla media italiana che rispetto alla prima. Nell’indagine di Osservatorio Agenda Digitale del PoliMIlano e Agcom, la Calabria è in ultima posizione con 18,8 punti su 100: la media nazionale è 53 punti, la Lombardia è prima a 72 punti. Siamo ultimi per personale con competenze digitali, negli ultimi posti per velocità della rete e penetrazione della banda ultra larga.
Questa situazione è simile ad altri comparti, per i quali però si stanno prendendo provvedimenti. Sulle opere pubbliche, l’attività è frenetica per ottenere nuovi fondi e completare le opere strategiche, provando anche a far partire il Ponte sullo Stretto e completare la SS106. Se parliamo di mare, abbiamo visto in questa estate un impegno straordinario che ha coinvolto funzionari, comuni, forze dell’ordine e ricercatori per abbattere l’inquinamento delle nostre coste.
Nel comparto turistico abbiamo assistito al varo di CalabriaStraordinaria ed alle campagne pubblicitarie per la nostra regione, alla collaborazione con influencer, musicisti, attori e personaggi dello spettacolo: se parliamo di acqua e rifiuti, c’è stato un grande impegno per riscattare le quote private di Sorical e poter creare una società totalmente pubblica in grado di gestire acqua e rifiuti. Per non parlare della sanità, il cui impegno di questa amministrazione è continuo, dal recupero del debito al reclutamento dei medici cubani fino ai lavori strutturali sugli ospedali esistenti e il rifinanziamento dei nuovi ospedali.
Calabria, la Silicon Valley che in realtà non c’è
Perché, invece, per il digitale si fa poco o nulla? È un driven di enorme cambiamento, un abilitatore e facilitatore di processi che potrebbe aiutare in maniera incredibile una regione affamata di competenze: eppure in questi anni abbiamo assistito ad una pletora di titoli di giornali, conferenze, incontri e annunci che vedevano la Calabria come una nuova Silicon Valley. Già, una silicon valley dove i comuni hanno siti vecchi e desueti, le piattaforme abilitanti della Regione Calabria come Sismica, SUAP, il sistema informativo della sanità calabrese e tante altre hanno scarsa usabilità o subiscono pesanti crolli, dove i bandi in click day vengono rimandati o i fondi finiscono in pochissimi secondi.
Abbiamo salutato l’insediamento di tantissime grandi aziende del settore digitale, che però non hanno fatto che creare un fenomeno di nuovo sottoproletariato digitale: come una novella India del ventunesimo secolo, la Calabria sforna ingegneri, developer e data scientist che però costano un terzo in meno dei loro colleghi milanesi, romani, torinesi, senza contare gli stipendi nel resto d’Europa. Siamo bravi e costiamo meno. Proprio per questo le grandi aziende di consulenza stanno venendo qui (o a Bari, Catania, Palermo) per creare nuove sedi in cui trovare forza lavoro qualificata: per questo motivo, nel Career Day di qualche giorno fa, Accenture cercava in Calabria lavoratori con sede di lavoro Milano, Roma, Napoli, Torino.
Questi investimenti nell’area consulenziale, che a breve termine forniscono posti di lavoro per giovani che si laureano nelle nostre università, in realtà impoveriscono il territorio. La ricchezza prodotta da questo nuovo sottoproletariato digitale resta al di fuori della nostra regione, nelle big company che nella migliore delle ipotesi hanno le loro sedi al nord Italia se non nel resto d’Europa. La conseguenza è semplice: le aziende calabresi hanno difficoltà (non tutte) a trovare lavoratori qualificati, non nascono nuove startup o nuove aziende innovative di giovani che piuttosto che rischiare e diventare la nuova Altilia, la nuova Altrama, la nuova Personal Factory (e potremmo continuare a lungo sulle aziende innovative calabresi di successo) scelgono legittimamente la sicurezza di uno stipendio.
La proposta: portiamo in Calabria i lavoratori licenziati da Facebook e Twitter
Allora, come uscire da questa spirale che a lungo impoverirà il territorio? Una proposta, provocatoria e legata all’attualità, potrebbe esserci: la Regione Calabria metta in campo un grande piano per attrarre i lavoratori licenziati da Facebook e Twitter nelle ultime settimane. Abbiamo lo stesso sole di San Francisco, un mare decisamente migliore, affitti dieci volte più bassi ed una fame estrema di competenze. Ci servono data scientist per analizzare i bilanci della sanità e capire dove sono i buchi, ci servono developer per non far crashare le piattaforme regionali, sviluppatori per garantire alle aziende calabresi i siti web per competere veramente sui mercati, ci servono project manager che sappiano come funzionano i mercati esteri, esperti di relazioni pubbliche e di policy nel campo digitale, legislatori nel settore della digital economy.
Se lo abbiamo fatto per la sanità, chiamando i professionisti cubani per salvare in emergenza i presidi sanitari ed evitare la chiusura degli ospedali, perché non possiamo attrarre sviluppatori di tutto il mondo per aiutare le nostre imprese? Avviamo un piano di decontribuzione, garantiamo alle aziende una tassazione agevolata (d’altronde, se con un Decreto Crescita possiamo attrarre Cristiano Ronaldo, perché non possiamo farlo con un senior Dev?), facciamo si che questi professionisti possano entrare nelle nostre università e contaminarle positivamente, facendoli divenire docenti esterni.
Utilizziamo per farlo i fondi del PNRR( (tanti, tantissimi) per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e per mettere a terra i progetti da costruire: usiamo i fondi di coesione della programmazione che verrà per supportare la formazione, la decontribuzione per le imprese, l’inserimento in azienda e la riqualificazione del personale esistente.
Creiamo task force digitali per aiutare le pubbliche amministrazioni, ripetendo l’esperienza meritoria del Dipartimento per la Transizione Digitale italiano che collaborando con AGID ha messo in piedi un modello di funzionamento che adesso sta portando frutti enormemente positivi. Miglioriamo i flussi interni della pubblica amministrazione, digitalizziamo la burocrazia abbandonando modelli consulenziali che finora non hanno portato nessun risultato. Abbiamo accolto con tutti gli onori Diego Piacentini da Amazon, perché non possiamo accogliere James, Frank, John, Inge e tanti altri che vengono da Facebook, Twitter, Stripe e le altre big tech?
Iniziamo a disegnare, davvero, la Calabria del domani. Smettiamo di inseguire le emergenze, presidente, aiutiamo le imprese a disegnare il loro futuro: solo così forse, e non solo nei convegni e nei comunicati stampa, la Calabria diventerà la vera Silicon Valley d’Italia.