Rabbia e amarezza

Aziende in ginocchio dopo l’alluvione che ha spazzato via tutto: «Lo stesso incubo del 2018, non riusciremo sempre a rialzarci»

Il racconto di Emanuela Milone, titolare di un vivaio a Lamezia: «Con i nostri mezzi e dipendenti cerchiamo di salvare il salvabile. Ristori? Non ci crediamo»

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di Giusy D'Angelo
24 ottobre 2024
06:14

«Stiamo rivivendo lo stesso incubo del 2018. Evidentemente in termini di pulizia (canali di scolo, torrenti) è stato fatto poco nulla. Solo proclami e nessun ristoro. Quando qualche risorsa è arrivata si è fermata a meno del 10% dei danni complessivi». L’ondata di maltempo ha segnato profondamente l’area industriale lametina. Colpite dal nubifragio dei giorni scorsi quanto le abitazioni provate quanto le aziende, alle prese con una amara conta dei danni. Tra le attività più colpite anche l’azienda vivaistica Milone che dà lavoro a 70 persone.

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La testimonianza 

A raccontarci lo stato d’animo e le difficoltà di quanto nuovamente vissuto, Emanuela Milone dei vivai Milone, agronomo nonché vicepresidente dell'Associazione florovivaisti italiani: «Non abbiamo solo il dolore per quanto abbiamo perso ma anche tanta rabbia». A subire pesanti danni, sia la sede nella zona industriale di Lamezia, sia quella ad Acconia di Curinga: «La prima danneggiata per lo straripamento del fiume Amato, la seconda per il torrente Turrina. Evidentemente la presenza di canne e alberi non ha agevolato il deflusso dell’acqua, sebbene caduta in quantità eccezionali».


Azienda nel fango e tanta amarezza

Così come alcune località del Lametino e del Catanzarese, l’azienda è stata sommersa dal fango: «Con i nostri mezzi e i nostri dipendenti stiamo cercando di ripulire tutto. Nessuna delle istituzioni è corsa in nostro aiuto né ha chiesto come stavamo. In questo momento stiamo cercando di recuperare il salvabile e gettare il resto», aggiunge l’imprenditrice.

Il ritorno all’alluvione del 2018 è più vivo che mai: «In quell’anno abbiamo registrato oltre 700mila euro di danni. Somme tutte documentate e rendicontate per cercare di avere dei ristori. Riviviamo un incubo. E sappiamo bene quello che avverrà dopo, cioè il nulla». Emanuela Milone sottolinea: «Stiamo cercando di ripulire le serre, tunnel e anche il laboratorio di micropropagazione per la produzione (in ambiente sterile) delle piante con tecniche innovative. Un’eccellenza come poche a livello europeo. Eppure, a causa del fango, molto materiale è inutilizzabile e diventa rifiuto da smaltire. Una doppia perdita. Per quanto riguarda i macchinari usati nel laboratorio, non sappiamo se funzionano o sono stati irrimediabilmente danneggiati perché la corrente continua a saltare. Non abbiamo una stima ufficiale dei danni».

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«Basta incuria»

Idee chiare su cosa le imprese si aspettano adesso: «Le istituzioni devono fare quello per cui sono proposte. Se nella mia azienda c’è qualcosa fuori posto, io giustamente vengo multata. Ma superato il confine della mia attività, perché la collettività deve pagare per tanta incuria?». L’imprenditrice Milone scandisce: «Non abbiamo la forza di rialzarci sempre. Ricordiamo che veniamo dagli anni del Covid durante i quali abbiamo continuato a lavorare ma il settore ha subito un pesante rallentamento. Poi abbiamo dovuto fare i conti con l’aumento dei costi di produzione e, ancora, con lo stop ai mercati esteri, saltati a causa delle guerre ad oggi in corso». Insomma, «siamo imprenditori e oltre a “mangiare” col nostro lavoro, abbiamo il compito di investire in innovazione. Ma non possiamo sempre ripristinare tutto e ripartire. Rischiamo di essere tagliati fuori dal mercato». Una situazione che accomuna diverse realtà produttive dell’area lametina: «Una piccola impresa avrebbe già chiuso i battenti. Noi resistiamo ma – si domanda - fino a quando?».  

Giornalista
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