Il direttore dell'Istituto mette in guardia da una riforma «che rischia di spaccare il Paese». A preoccupare è soprattutto la definizione dei Lep senza un'adeguata copertura finanziaria: «Non basta stabilirli ma bisogna anche garantire le risorse per realizzarli» (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Attualmente esiste in media un divario di almeno mille euro pro capite per abitante tra Mezzogiorno e Centro-Nord nella spesa pubblica». Così i dati dell’Agenzia per la Coesione fotografano il differenziale di spesa per il finanziamento dei servizi tra le due diverse aree del Paese.
La vulgata di un Sud inondato di risorse
A confermarlo è Luca Bianchi, direttore dello Svimez che spiega: «Questa fonte smentisce la vulgata del Sud inondato di risorse ma conferma, invece, il contrario. E questi dati si riflettono in una minore spesa sia in conto capitale per investimenti che in spesa corrente. Si tratta di un divario di spesa in comparti essenziali: dall’istruzione alla sanità, ai trasporti pubblici e alla spesa sociale. Quindi, il divario Nord-Sud in termini di servizi che tutti i cittadini vivono quotidianamente è dovuto, in parte, anche a sacche di inefficienza ma prevalentemente anche al fatto che al Sud dal momento che alcuni servizi non esistono, semplicemente non esistono neppure le risorse per erogarli. È il meccanismo della spesa storica: dove non ci sono servizi non c’è neanche la spesa ed è questo che ha comportato il grande divario».
Il disegno di legge sull’autonomia differenziata è stato approvato in Consiglio dei ministri con ulteriori integrazioni rispetto alle prime bozze. Adesso si conferma la necessità di definire i Lep prima di procedere al trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni, dal suo punto di vista questo sarà un sufficiente strumento di garanzia?
«Questo è un passaggio per noi fondamentale. Non era presente nelle precedenti bozze ed è anche il frutto delle nostre battaglie quotidiane. Dico che questo rappresenterebbe una reale garanzia se alla definizione dei Lep facesse seguito anche un adeguato finanziamento. Si tratta di una differenza sostanziale dal momento che la norma Calderoli ci dice che è sufficiente definire i Lep ma proprio alla luce del differenziale di servizio non basta stabilirli ma bisogna anche garantire le risorse per il loro finanziamento. Ciò vuol dire risorse aggiuntive prevalentemente per il sud, ma non solo, per erogare il servizio dove attualmente non c’è. In realtà, il problema viene aggirato e difatti rischiamo di avere una applicazione dell’autonomia anche in materie oggetto dei lep senza che i lep vengano finanziati. Questo non ci tranquillizza ma rimaniamo particolarmente contrari nei confronti di su questa proposta di legge».
Cosa potrebbe avvenire nel caso in cui competenze come la sanità o la scuola venissero regionalizzate?
«Sono molti i rischi. In primo luogo, si rischia una frammentazione del Paese, una frammentazione delle politiche pubbliche ma c’è poi un tema di unità nazionale. Quando si impatta su materie quali l’istruzione che sono parte del nostro sentimento di unità nazionale si rischia di avere anche programmi diversi a livello territoriale. Addirittura nella proposta del Veneto si prevedeva che il personale della scuola fosse trasferito nei ruoli della Regione. Ci capisce bene che questo impatterebbe sia sulla mobilità sia sugli stipendi. Uno stesso insegnante in Veneto può guadagnare di più che in Calabria o in Campania facendo lo stesso lavoro. Oltre a ciò si indebolisce il principio di solidarietà nazionale perché con il trasferimento si bloccano le risorse e così avremo tre regioni il cui principale obiettivo è ridurre il loro contributo di solidarietà. Ci sono obiettivamente elementi sia a livello nazionali che territoriale che dimostrano come questa riforma sia profondamente sbagliata».