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È la contrazione della spesa familiare per la voce “carne e salumi” in Italia pari allo 0,4% del Prodotto interno lordo. Una riduzione che si potrebbe registrare nei prossimi dodici mesi come reazione percepita dei consumatori allo studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul legame tra una dieta che comprende le proteine animali ed il cancro. A rischio, inoltre, oltre 50 mila posti di lavoro della filiera con la metà generata nelle sole realtà regionali del Mezzogiorno.
In soli dodici mesi, le famiglie italiane potrebbero ridurre di quasi 6 miliardi di euro il consumo di ogni genere di carne lavorata e non, di salumi e di insaccati ad oggi stimata in 28,4 miliardi di euro. Una modifica dei comportamenti d’acquisto alimentari, pari allo 0,4% della ricchezza prodotta nazionale, che produrrebbe preoccupanti ripercussioni sul comparto zootecnico ed agroalimentare italiano: oltre 50 mila posti di lavoro in meno. Il Mezzogiorno, che con quasi 380 mila unità lavorative assorbe quasi la metà degli attuali occupati in agricoltura, risulterebbe il sistema più colpito: circa 26 mila posti di lavoro a rischio e una contrazione dei consumi pari a 1.800 milioni di euro. Al Nord, quattro le realtà più penalizzate: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte con una perdita complessiva di ben oltre 11 mila posti di lavoro e con una riduzione cumulata delle spese familiari per la carne rossa, salumi e insaccati pari a 2.200 milioni di euro. Oltre 23 milioni di capi di bestiame interessati dalle raccomandazioni dell’Oms “ospitati” da ben 750 mila aziende con allevamenti. É quanto emerge da una nota breve realizzata dall’Istituto Demoskopika che ha analizzato le possibili ripercussioni sul mercato dei consumi e del lavoro nel “sistema carne” dopo le recenti raccomandazioni dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Consumi: oltre 220 euro in meno a famiglia per acquistare carne rossa, salumi e insaccati. Si potrebbe ridurre di ben 5.700 milioni di euro la disponibilità delle famiglie italiane di inserire nel bilancio domestico l’acquisto di carne rossa, salumi e insaccati di ogni tipo. Un taglio rilevante, pari ad una contrazione della spesa di 220 euro per ciascun nucleo familiare. Il condizionamento percepito dai consumatori derivante dall’invito «a limitare il consumo di carne» perché associata al cancro al colon-retto, al pancreas e alla prostata rivolto dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro potrebbe pesare fino allo 0,4% del prodotto interno lordo italiano: si passerebbe dagli attuali 28.445 milioni di euro a circa 22.755 milioni di euro per le decisioni di acquisto di carne e dei suoi lavorati di manzo, vitello, maiale, agnello, pecora, cavalli e capre.
L’analisi del livello territoriale presenta un quadro abbastanza variegato. Sarebbero le famiglie lombarde a contrarre maggiormente i consumi per un ammontare di 950 milioni di euro, seguite dai nuclei familiari residenti nel Lazio (-627 milioni di euro), in Campania (-525 milioni di euro), in Piemonte (-457 milioni di euro), in Sicilia (-445 milioni di euro), in Emilia Romagna (-417 milioni di euro), in Veneto (-407 milioni di euro), in Toscana (-385 milioni di euro) e in Puglia (-335 milioni di euro).
A ridurre significativamente le decisioni di acquisto verso la carne rossa, i salumi e gli insaccati di ogni tipo anche le famiglie consumatrici calabresi con una contrazione di ben 170 milioni di euro della spesa, i nuclei familiari della Liguria (-167 milioni di euro), delle Marche (-154 milioni di euro), dell’Abruzzo (-140 milioni di euro), della Sardegna (-132 milioni di euro) e del Friuli Venezia Giulia (-112 milioni di euro). Con una riduzione sotto la soglia dei 100 milioni di euro, i consumi delle famiglie in Umbria (-89 milioni di euro), in Trentino Alto Adige (-84 milioni di euro), in Basilicata (-49 milioni di euro), in Molise (30 milioni di euro) e in Valle d’Aosta (12 milioni di euro).
Lavoro: a rischio il 6,3% dell’attuale occupazione. Nel Mezzogiorno le conseguenze più critiche. Oltre 50 mila posti di lavoro risulterebbero a rischio, esistenza minata dalla possibile contrazione della voce “carne” nel bilancio domestico delle famiglie italiane. Una perdita di posti di lavoro stimabile in 6,3 punti percentuali rispetto all’attuale offerta occupazionale complessiva nel settore agricolo. Ad essere più colpita, con circa 26 mila posti di lavoro, l’area del Mezzogiorno dove attualmente risultano occupati poco meno di 380 mila persone pari al 46,4% del totale degli occupati nel comparto in Italia. A seguire il Nord ed il Centro rispettivamente con 14 mila e 11 mila unità di lavoro a rischio.
In termini di consistenza territoriale, le prime dieci regioni ad essere maggiormente “provate” sarebbero la Campania con una perdita di 8.200 posti di lavoro, la Sicilia (-5.700 occupati), il Lazio (-5.300 occupati), la Puglia (-5.200 occupati), la Lombardia (-3.500 occupati), la Toscana (-3.300 occupati), l’Emilia Romagna (-3.200 occupati), il Veneto (-3.100 occupati), la Calabria (-2.600 occupati) e l’Abruzzo (-2.200 occupati).
In coda si collocano le rimanenti realtà regionali con un calo stimato complessivo di oltre 8.900 posti di lavoro a rischio: Piemonte e Sardegna con una perdita stimata di circa 1.700 occupati in meno per entrambe. Seguono il Friuli Venezia Giulia (-900 unità), la Basilicata (-800 unità), l’Umbria (-750 unità), il Trentino Alto Adige (-650 unità), la Liguria (-600 unità). In coda il Molise e la Valle d’Aosta con una possibile riduzione rispettivamente di 480 e di 40 posti di lavoro.
Patrimonio zootecnico: oltre 23 milioni di capi “toccati” dalle raccomandazioni dell’Oms. Il consumo di salumi, insaccati e ogni genere di carne lavorata risulta cancerogeno e, con ogni probabilità anche se ad un livello minore, è tale anche quello di carne rossa. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso anche la carne di maiale tra la carne rossa, insieme a quella di manzo, vitello, agnello, pecora, cavalli e capre interessando buona parte dell’immenso patrimonio zootecnico italiano pari a poco più di 23 milioni di capi di bestiame destinati alla macellazione per il consumo “ospitati” da quasi 750 mila aziende con allevamenti: 9,6 milioni di suini, 6,6 milioni di ovini, 5,7 milioni di bovini e, infine, 857 mila caprini e 221 mila equini.