A Soveria Mannelli, la città calabrese sede della Casa Editrice Rubbettino, la prima edizione del Festival del lavoro nelle Aree interne promosso dall’associazione RESpro-Rete di storici per i paesaggi della produzione, dalla Fondazione Appennino Ets e, appunto, dalla casa editrice Rubbettino. Il tema di questa prima edizione, inserita all’interno del Festival dello sviluppo sostenibile promosso da Asvis (Alleanza italiana per lo Sviluppo sostenibile), è il lavoro tra passato e futuro, fragilità e opportunità di un patrimonio nei territori interni dell’Italia contemporanea.

Il lavoro al centro

La prospettiva del lavoro è centrale per rendere concreto ogni progetto di sviluppo delle aree interne che non sia basato solo ed esclusivamente sul turismo. Per riattivare processi in grado di fermare lo spopolamento e quindi per ridare centralità ai paesi dei territori interni delle Alpi, della dorsale appenninica o di qualsiasi altra area italiana considerata tale, è necessario attingere alle loro caratteristiche, ai loro paesaggi, ad assetti economici e sociali e ad attività produttive da secoli presenti nelle articolazioni di questi territori. Si tratta di recuperare un passato capace di configurarsi come una prospettiva inedita ed originale per il futuro, da declinare, quindi, nella dimensione del mondo contemporaneo; ma si tratta, nello stesso tempo, anche di evitare che le aree interne continuino ad essere oggetto di progetti calati dall’alto, esterni alle loro identità, omologanti e scarsamente efficaci.

Rilancio delle aree interne

Oltre ottanta studiosi provenienti da varie istituzioni, fondazioni, università, associazioni, enti che da diversi anni, in Italia, si occupano dei temi del lavoro e delle aree interne e che per la prima volta hanno dato vita ad un confronto dal forte valore scientifico. Il dibattito che in questi ultimi anni ha riguardato le aree interne si è concentrato su alcuni temi come lo spopolamento, la definizione stessa di area interna, la contrapposizione tra borgo e paese, l’individuazione di identità e relative rappresentazioni. Nell’ambito delle politiche e delle strategie pensate per il rilancio e lo sviluppo delle aree interne si mette sempre al centro l’economia di questi territori, coniugata con le articolazioni politiche e sociali e con le relazioni che si possono stabilire al loro interno, oppure con altri spazi, compresi i poli metropolitani.

Il futuro delle aree interne

In questa riflessione si comprende sempre il lavoro, con particolare attenzione per i giovani, destinatari di specifici interventi. Negli ultimi anni, però, così come è stata costruita una retorica del borgo montano, è stata elaborata anche una retorica dei giovani, come soggetti principali di attente politiche per il lavoro. Si parla di borghi felici e poi ci si accorge che questi, non solo non esistono, ma è anche difficile da rilanciare; si parla di giovani, ma poi concretamente non solo non si fa nulla per loro, ma nemmeno per tutte quelle persone più anziane espulse dal mercato del lavoro o in pensione. Ciò che serve, dunque, è l’elaborazione di un’analisi più specifica e puntuale sul tema del lavoro, perché non c’è futuro per le aree interne senza l’individuazione di attività lavorative in grado di innescare solidi processi di crescita e di coinvolgere l’intera popolazione, dai più giovani ai più anziani. È una visione complessiva quella che serve e non settoriale o di genere.

Programmi a lungo termine

Nello stesso tempo, il lavoro non può fare riferimento a schemi generali o modelli standardizzati calati dall’alto, che possono funzionare, secondo le logiche dell’economia globalizzata, in ogni luogo e in tutte le realtà. Purtroppo, ciò è accaduto sia con la Strategia nazionale aree interne, sia con i primi progetti per il Pnrr. È per questo motivo che la prima non ha prodotto gli esiti sperati, mentre il secondo rischia di essere un totale fallimento. Le aree interne e in particolare gli spazi appenninici, hanno bisogno di interventi mirati e del tutto alternativi alle dinamiche dei modelli economici dominanti, basati su un concetto di sviluppo continuo e sul consumismo. Il lavoro deve essere declinato all’interno delle comunità appenniniche, tenendo conto delle loro caratteristiche, della loro cultura, del paesaggio e di un ambiente naturale da tutelare e valorizzare al tempo stesso. Tutto ciò significa tornare ad una vera, concreta e sincera pianificazione con dei programmi a lungo termine, attivando dal basso dei percorsi credibili, proposti da singoli paesi e territori mediante un solido processo di partecipazione.

Ripartire dalla storia

Contemporaneamente, si rende indispensabile anche l’individuazione, nell’ambito del complesso e delicato dibattito sulle autonomie, di nuove realtà amministrative più omogenee in riferimento agli spazi montani, che vadano a riunire, rendendo ogni azione più forte e concreta, ciò che è stato separato dal punto di vista geografico da artificiosi confini regionali. È solo in questo modo che i paesi dell’Appennino potranno essere dotati di tutti i servizi sociali, culturali, sanitari e di tutte quelle infrastrutture di cui hanno bisogno. Per andare in queste direzioni, con una visione dell’Appennino che sia meno teorica e distante dalla realtà effettiva, si devono cogliere quelle intime relazioni che lo hanno definito nel tempo. È necessario, cioè, fare riferimento alla sua storia. Allo stesso modo, anche per ragionare intorno al tema del lavoro, guardando al futuro delle aree interne nel loro insieme, è importante partire dalla loro storia plurisecolare e dai loro caratteri originari, così come essi si sono strutturati dal medioevo in poi. In definitiva, serve un’analisi che permetta di stabilire un collegamento, un ponte, tra i lavori del passato e quelli di un possibile futuro.