di Carlo Tansi*

Se 23 milioni di anni fa avessimo fatto il bagno a Diamante, Soverato, Scilla, avremmo avuto accanto le spiagge di Montecarlo, Portofino, Porto Cervo, che avremmo raggiunto in meno di mezz’ora. Infatti in quell’era geologica (chiamata Miocene) la Calabria era unita alle coste della Liguria ed era incastonata nelle Alpi.

Ma poi un evento geologico importante stravolge il Mediterraneo: l’Africa inizia ad avvicinarsi all’Europa e la Calabria, schiacciata dall’enorme morsa Africa-Europa, viene stritolata e, come spremuta da un tubetto di dentifricio, viene sradicata dalle Alpi e trasportata per centinaia e centinaia di chilometri fino alla posizione attuale.

Da questa “passeggiata” geologica derivano i principali rischi naturali (frane e terremoti) che affliggono da sempre la nostra regione: il viaggio ha provocato la rottura delle rocce calabresi lungo quelle chilometriche fratture che attraversano la regione e che i Geologi chiamano “faglie”. Le faglie, oltre a produrre terremoti, hanno frantumato minutamente e reso friabili e scadenti le rocce calabresi, le quali, assorbendo acqua in occasione di piogge intense, si saturano e franano diffusamente. Terremoti, frane e alluvioni hanno falcidiato centinaia di migliaia di vite umane e pregiudicato lo sviluppo socio-economico della regione, al punto di rappresentare una delle principali cause d’emigrazione.

L’icona della nostra Terra è stato in passato il tipico pianto di calabresi disperati, terrorizzati e inermi rispetto alle calamità, viste come “castigo di Dio”. Icona che continua ancora, per inerzia culturale, a caratterizzare la nostra Terra, nonostante oggi la più moderna tecnologia fornisca i mezzi per sconfiggere i rischi idrogeologico e sismico. Continuiamo ad essere terrorizzati dalle calamità naturali, pur costruendo imperterriti nei fiumi e realizzando con cemento depotenziato edifici e ponti incapaci di resistere ai terremoti.

Eppure proprio quella storia geologica unica al mondo, citata dai testi di Geologia delle maggiori università del pianeta, ci ha regalato una concentrazione di immense risorse che fanno della Calabria una regione fortunatissima, baciata da Dio.

Ha fatto sì che diventasse una regione tra le più belle al mondo dai paesaggi straordinariamente diversi ma concentrati in una sola regione: a una manciata di chilometri si passa dalle vette del Pollino – belle come le Dolomiti – e di Sila, Serre e Aspromonte –il più bel tratto d’Appennino lungo il quale a Gambarie d’Aspromonte ricade l’unica pista da sci al mondo che affaccia sul mare (lo splendido scenario dello stretto di Reggio-Messina) – a colline belle come quelle del Chianti, alle magiche spiagge che passano rapidamente dal chiaro caraibico di Tropea, Soverato, Capo Bruzzano, allo scuro hawaiano e selvaggio della Costa Viola. Posti incantevoli sui quali “defecano” improbabili depuratori o si accumulano montagne di spazzatura che azzerano il nostro turismo.

Siamo baciati da Dio anche per le acque: quelle stesse straripanti acque che mietono frane e alluvioni, infiltrandosi nelle variegate rocce calabresi compiono un prodigio testimoniato dalle più accreditate riviste del settore: diventano le migliori acque minerali d’Italia di gran lunga superiori, per caratteristiche organolettiche e fisico-chimiche, a quelle mediaticamente molto più note del resto d’Italia. Tante ottime acque straordinariamente assortite: da quella che contiene meno sodio della nota acqua pubblicizzata dalla solitaria particella, a quella in cui è disciolto meno residuo fisso delle acque dell’uccellino, della miss e del calciatore, a quella ancor più ricca in elementi indispensabili per la crescita rispetto all’altra acqua che molte mamme, consigliate da discutibili neonatologi, si ostinano a comprare in farmacia al costo di 2 euro al litro (!).

Acque eccezionali ma mal pubblicizzate: è assurdo vedere acque minerali provenienti dal nord-Italia trasportate da aerei e navi cargo, passarci beffardamente sotto il naso, mentre viaggiano verso l’assetato ed emergente vicinissimo nord-africa o al ricco medio-oriente.

E poi le acque termali - tra le migliori d’Europa - di Guardia Piemontese e Acquappesa, della Sibaritide, del Crotonese, di Lamezia Terme, di Galatro e di Antonimina. Eppure molti Calabresi vanno a Salsomaggiore e a Fiuggi per le cure termali.

E poi la materia prima per fabbricare la ceramica, il caolino: minerale che abbonda tra i graniti della Sila, ambìta meta di camion provenienti da Faenza e dintorni, che scendono fin qui per prelevarne ingenti quantitativi con cui fabbricheranno famigerate piastrelle commercializzate in tutto il mondo. Eppure in Calabria non abbiamo fabbriche di piastrelle, eccetto effimeri tentativi finanziati da qualche 488, falliti miseramente.

E poi i vini. Non a caso qualche millennio fa ci chiamavamo Enotria (“terra dei vini”). L’installazione diffusa dei vitigni potrebbe rilanciare decisamente l’economia e contemporaneamente disciplinare il deflusso delle acque, risolvendo così l’atavico problema del dissesto idrogeologico che affligge la nostra regione. E cosi gli oliveti e l’olio, il riso, i fichi, il bergamotto, il cedro, la cipolla rossa, gli agrumi e la nostra pastorizia.

Ai doni della Natura si aggiunge la nostra storia infinita che ha lasciato molte importanti testimonianze. Storia che affonda le sue radici nelle tracce umane Paleolitiche di 12.000 anni fa delle grotte di Praia e di Papasidero. Poi, circa 850 anni prima della guerra di Troia, dal Peloponneso sarebbe giunto Enotrio e poi suo figlio Italo che regno sull’Ausonia (l’area attualmente occupata dalle province di Catanzaro, Vibo e Reggio) che avrebbe preso il nuovo nome di “Italia” (Virgilio) da cui deriva il nome della nostra patria. Poi seguì lo sbarco dei Greci in Calabria che fondarono – tra l’VIII ed il IV secolo a.C. –colonie così magnificenti da guadagnarsi l’appellativo di Magna Grecia, importanti al punto da superare la stessa madrepatria: Rhegion, Kroton, Locri Epizefiri, Metauros e Sybaris, Kaulon, Hipponion, Medma, Terina e Scolacium. All’epoca eravamo la culla della cultura con la scuola pitagorica, fondata da Pitagora a Crotone, che insegnava a tutto il mondo la matematica, l’astronomia, filosofia e la musica, mentre nell’attuale Padania c’erano solo pecore e buoi. Poi la Magna Grecia venne conquistata dai Romani nel III secolo a.C. Sotto il dominio bizantino abbiamo subito una “seconda grecizzazione” che ha lasciato profonde tracce.

Abbiamo 2133 chiese, 113 santuari e 12 cattedrali di grande valore artistico, e 1.521 edifici di interesse architettonico, racchiusi in un periodo di tempo che va dal sec VI D.C. ai primi decenni del sec XX. La storia ci ha lasciato anche 142 castelli e 29 fortificazioni trasformate – tra il IX e il XIV secolo- in residenze d’epoche Bizantina, Normanna, Federiciana, Sveva, Aragonese e Angioina.

Siamo stati anche sede dell’Accademia Telesiana - resa illustre da Bernardino Telesio - la più antica d’Italia e tra le più antiche d’Europa, fondata a Cosenza nel 1511, polo mondiale di grande richiamo culturale per il mondo accademico dell’epoca.

Noi calabresi dovremmo imparare soffermarci ed emozionarci nel contemplare la paradisiaca bellezza dei nostri paesaggi e dovremmo conoscere le nostre origini, la nostra immensa cultura e i segni che la nostra storia infinita ci ha lasciato attraverso le testimonianze archeologiche e architettoniche, che insieme rappresentano una immensa risorsa da esibire orgogliosamente al mondo intero. Dovremmo scegliere, nel segreto dell’urna, politici, non importa di quale partito, che amino la nostra Terra e in grado di valorizzare tutte le immense potenzialità che madre Natura e la storia ci hanno donato - il nostro Tesoro Calabria – per assicurare un futuro ai nostri figli.

*geologo e ricercatore del Cnr