Uno in lotta contro la ‘ndrangheta, sotto scorta da dieci anni per non essersi piegato, non aver voluto fare quel regalo da 1200 euro al mese allo zio Pasquale. Primo caso in Calabria di testimone di giustizia ad avere puntato il dito contro il suo estortore.

 

L’altro in lotta da quando aveva due anni appena contro la distrofia muscolare. Una malattia degenerativa che lentamente ha piegato il suo corpo ma non la sua mente, lucida, lucidissima, animata da un’intelligenza viva e brillante, e soprattutto non ha piegato la sua volontà di fare.

 

È stato intitolato “Due vite una stessa lotta per essere liberi” l’incontro-confronto tra il testimone di giustizia Rocco Mangiardi e Antonio Saffioti, già vice presidente regionale della Federazione Italiana per il superamento dell’Handicap.

 

Due vite apparentemente diverse ma puntate contro un unico obiettivo, determinare la propria libertà contro chi sembra avere già deciso di potergliela togliere. A moderare la serata ospitata dalla Biblioteca Comunale il giornalista Salvatore D’Elia.

 

Quel che ne è uscito fuori è uno spaccato di umiltà, forza e determinazione. Perché se da un lato la quotidianità di Mangiardi e Saffioti spicca rispetto al contesto in cui si muove perché decisamente controcorrente, dall’altro loro non si sentono diversi o migliori di nessuno. Lo ha ripetuto spesso Rocco Mangiardi che dedica gran parte del suo tempo libero a ricordare con l’associazione Libera le vittime di mafia e a diffondere la cultura della legalità.

 

Quello che ha fatto, quel gesto che ha avuto l’eco di un ordigno nel tessuto asfittico di Lamezia, lì dove le indagini hanno portato a vedere come le attività vittime di estorsione siano tantissime e le denunce una minima percentuale, per Mangiardi è stato un gesto di sopravvivenza ed umano. Se avesse accettato quel “regalo mensile” avrebbe messo la sua attività alla mercé della criminalità organizzata, ha spiegato, e avrebbe dovuto licenziare qualche lavoratore.

 

«Il mio nemico fa paura ma ha più onore del suo», ha detto Saffioti a proposito della sua malattia. Una malattia vorace che lo ha costretto anche a sottoporsi ad un delicato intervento per potere respirare. Ma Antonio non ha sacrificato i suoi interessi e la sua vita all’altare di questo infido male.

 

Vive la vita culturale e pubblica di Lamezia, partecipa ad eventi, porta avanti le sue battaglie fatte di principi e valori. Anche lui non si sente un eroe ma agli occhi di chi la vita non riesce proprio ad apprezzarla i suoi sforzi per viverne la bellezza e migliorarla per tutti è sicuramente un faro.