L’ultima visita calabrese ad opera di Bartolomeo I, nato Dimitrios Archontonis, arcivescovo ortodosso greco con cittadinanza turca in qualità di patriarca ecumenico di Costantinopoli – carica che ricopre dal 1991 - si sta svolgendo a Lungro, ed è motivata dal centenario dell’istituzione dell’Eparchia calabrese, istituita nel febbraio 1019 da Papa Benedetto XV. Una giornata coincisa, all’atto pratico, con l’incontro delle comunità cattoliche italo-albanesi di rito orientale bizantino che fanno riferimento al centro cosentino. Ma che, alla luce delle frequenti visite patriarcali in Italia, della forza e della vivacità della spiritualità ortodossa calabrese, della vicinanza più e più volte ribadita tra la massima autorità cattolica romana, Papa Bergoglio, e il suo emulo bizantino, Bartolomeo I appunto, acquista sfumature interessanti: e lascia pensare a pratiche di progressivo avvicinamento sempre più palesi.

 

Vicinanza interessata?

Entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro, sia per consolidare e rinforzare il loro ruolo internazionale che, paradossalmente pe ribadire una centralità interna ai propri apparati. Entrambi vengono da percorsi di profonda riforma delle rispettive Chiese. Entrambi appaiono, aldilà delle differenze di dogma, d’eguale sensibilità sociale e perché no, anche politica. I punti in comune sono sotto gli occhi di tutti: l’approccio rigoroso ai temi dell’immigrazione e della simplicitas cara al Gesuita; la distanza del suo ecumenismo dalle sfumature politiche di una Conferenza Episcopale Italiana che, in passato, specie sotto l’egida del cardinale Ruini era - a detta di molti - più vicina a Roma che alla comunità dei fedeli; l’accelerazione verificatasi nel corso del suo pontificato di azioni tese all’avvicinamento ed all’inclusione, riguardanti di volta in volta i clochard di Piazza San Pietro, i divorziati, passando per sfumature di inedita tolleranza nei confronti degli omosessuali, hanno dato l’esatta misura delle ambizioni del Pontefice: quelle di scardinare i legacci tra potentati economici e politici, ribadendo la centralità degli ultimi, dei diseredati, degli oppressi.

 

Chiese sempre più vicine

A questo sentire fa eco, dal primo affacciarsi di Bergoglio su Piazza San Pietro, l’insistente ribadire, da parte del patriarca, l’unicità del rapporto di amicizia, la vicinanza totale a temi e sociale, la corrispondenza di amorosi e cristiani sensi. Toni che, aldilà dell’ovvietà diplomatica, hanno, a ben guardare, un calore ed una veemenza che potrebbe far intuire la ricerca di strategie comuni, un intento di riavvicinamento, finanche prospettive di riunificazione delle massime espressioni della cristianità che, seppure sulla carta continuino a rimanere distanti, pure possono incamminarsi con medesimi strumenti, diplomazie e toni, su sentieri comuni. In Europa, il progressivo indebolimento del sentire cattolico da un lato e la recrudescenza di sovranismi, di stampo razzista dall’altro, contrapposti alla chiarissima ed inequivocabile severa condanna di entrambe le autorità spirituali, apre la strada a considerazioni di nuove e più urgenti necessità: quelle cioè di perseguire obiettivi politici, azioni concordate, segnali forti nei confronti di governi ed assise internazionali, che ridiano alla Chiesa – anzi: alle Chiese – quella centralità che nell’ultimo decennio, dopo la scomparsa di Karol Woytila, sembra aver perso.

 

«La chiesa qui respira con due polmoni»

Non a caso, Monsignor Donato Oliviero, vescovo di Lungro, dopo aver sottolineato come “qui la “Chiesa respira con due polmoni», e come, in un secolo, «la nostra Eparchia abbia contribuito a salvaguardare il principio della legittima diversità nell’unità della fede – sia modello unico di fedeltà alle direttive della santa Sede, e a 100 anni dall’istituzione dell’Eparchia, a 500 anni dall’insediamento delle comunità bizantine, dopo il Concilio di Firenze del 1439, vede un fulgido futuro di unità con la Chiesa Italiana, che respira a due polmoni. Legittima diversità nell’Unità della fede».

 

«Il sogno della piena unione della fede»

Dal canto suo Bartolomeo, al termine del vespro celebrato a Lungro, evocando «il sogno della piena unione nella fede» aveva ribadito come «Con Papa Francesco, che vive e si comporta in un modo degno del nome che porta, ci unisce un amore fraterno stretto, una reale amicizia che desideriamo estendersi anche fra i gerarchi, il clero e i fedeli delle nostre Chiese sorelle - , concludendo-: romani, cattolici e ortodossi, abbiamo molto in comune, ma anche diversità che dogmaticamente ci tengono lontani dal comune calice». E ancora, sulle prospettive di unificazione, aveva evidenziato come, seppure «Il dialogo teologico fosse progredito di molti, pure restavano aperti scandali che rendono difficile il cammino verso l’incontro». Di qui l’auspicio: «Lavoriamo da entrambe le parti per superarlo, pregando affinché Dio spiani la via, e possa sorgere quel giorno in cui ci troveremo insieme alla santa mensa».

 

Calabria: un ruolo strategico?

In quest’ottica, Lungro appare come luogo simbolo di pacificazione e comunità, destinato a giocare, insieme alla Calabria, un ruolo strategico. Il lavorio diplomatico in corso viene confermato, tra l’altro, anche dalla presenza, accanto al Patriarca, del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana; di monsignor Andrea Palmieri, sottosegretario del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani; del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. E se il vescovo parla di questa giornata come di un motivo per ringraziare la Santissima Trinità, prosaicamente gli osservatori potrebbero ravvedervi il terreno ideale per nuove, più forti azioni. Unità e strategia, strategia ed unità: con la Calabria, proprio grazie alla vitalità della sua comunità greco-ortodossa, ed alla sua posizione strategica nel Mediterraneo, in grado di costituire il teatro di prove tecniche di riunificazione.