Così scrisse Norman Douglas di ritorno dal suo Grand Tour, con il fascino della Calabria e del suo altopiano silano, tatuato nello spirito. «Fu un viaggio splendido l’attraversare quegli altipiani, con la vista dello Ionio dall’alto e il panorama dell’ampia vallata del Crati e dell’alta catena del Pollino, avvolta nella bruma del primo autunno, poggiando lo sguardo sui fianchi delle colline coperti di olivi. La strada gira intorno ai precipizi, dove scendono dal monte i ruscelli; sono ricoperti di querce da sughero, lecci e altra vegetazione; tra i rami volano rigogoli, ghiandaie, upupe e coracie garrule. Nell’inverno i gelidi venti dell’Appennino spazzano questi monti, ma in questa stagione è una zona stupenda».

A questi versi e a quella “Vecchia Calabria” appuntata dall’eccentrico scrittore britannico, si ispira il Parco Old Calabria che quest’anno festeggia le venti primavere.

Una cartolina dal passato

Il luogo è stato restaurato e riportato in vita senza dimenticare il passato che lo ha abitato. La casa, oggi sede del Parco, era ab origine nella parte Nord del latifondo Barracco che correva per ben 40mila ettari fino a Capocolonna. Qui c’era l’intera gestione commerciale e oggi tra le mura della casa si conserva il prezioso archivio del latifondo, vincolato dal ministero per la sua importanza storica, a cui accedono gli studiosi interessati a cercare pezzi di storia calabresi.

«È un’idea che è arrivata in ritardo – racconta Mirella Barracco, presidente della Fondazione Napoli Novantanove -. L’idea di mio marito era quella di creare una fondazione per la Calabria, ma poi ci fu il terremoto a Napoli e qui siamo arrivati vent’anni dopo».

L’antica dimora è accoccolata nel cuore di un Parco che somiglia a una cartolina antica, profumata da un’aria di bosco che lascia svagare la testa fra pensieri liberi, come quelli dei poeti, degli scrittori, dei viaggiatori erranti, che percorrendo queste strade, a cavallo tra un secolo e l’altro, hanno lasciato che la penna fermasse quella sensazione di infinito benessere che la Sila gli ispirava.

«Nel ‘99 si è deciso di ridare la vita a questa casa, che gronda di storia calabrese, organizzando incontri e tavole rotonde. Siamo sempre stati spinti dalla voglia di valorizzare il territorio attraverso la sua forza culturale e ambientale che spesso è dimenticata. Ed eccoci qui, oggi, a festeggiare i nostri primi vent’anni. E questo è solo l’inizio».

Quando gli emigranti eravamo noi

All’interno del Parco, a precedere l’ingresso nell’antica casa, dà il benvenuto ai viaggiatori “La Nave della Sila”, realizzata in quella che una volta era la vaccheria.

«L’idea iniziale – spiega Mirella Barracco - era di costruire un museo dedicato all’acqua. Poi l’incontro con il giornalista Gian Antonio Stella, che nel 2005 aveva pubblicato il libro “L’Orda, quando gli albanesi eravamo noi” fu lo spunto per cambiare direzione». All’interno il Museo è strutturato come la tolda di una nave. Un percorso fotografico accompagna i visitatori tra fumaioli, luci, voci e i canti dei migranti. Qualche anno fa al museo narrante è stato aggiunto il container dell’emigrazione in digitale.

«Abbiamo creato questo spazio pensando ai figli degli emigranti che non sapevano delle sofferenze e dell’eroismo dei loro nonni che per anni si erano vergognati di quelle partenze e non capivano, invece, quanto fossero stati grandi. Qui abbiamo cercato di restituire la realtà della loro fatica».