Nato a Conflenti, emigrato in Sudamerica, lo scrittore è un caso letterario che riemerge ciclicamente. Il suo unico libro, inizialmente senza lettori, trovò fortuna grazie al passaparola. Le frasi fulminanti, tra saggezza orientale e linguaggio pop, raccolte in una nuova edizione completa
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Morì nel 1968 in seguito a un incidente di giardinaggio. Fu carpentiere, portuale, tipografo. Parrebbe tutto fuorché la biografia di uno scrittore. Eppure Antonio Porchia, nato a Conflenti nel 1885 ed emigrato in Sudamerica, era un genio. Di quelli poco riconosciuti in vita e tanto meno nella terra che gli diede i natali e lo vide partire da ragazzino per motivi mai chiariti, che si aggirano in quella landa cara agli scrittori e situata tra cronaca e fiction (pensata, per inciso, dallo stesso Porchia).
Il suo genio si ripropone ciclicamente, come certi casi letterari mai pienamente esplorati. Le “Voci” – è il titolo del suo unico libro di aforismi – riemergono qui e là. Oggi tornano grazie al lavoro della casa editrice Argolibri con un’edizione completa in italiano a cura di Andrea Franzoni che arriva dopo parziali circolazioni su varie riviste letterarie. “Un Eraclito calabrese”, sintetizza la Lettura del Corriere della Sera, che ricorda, tra le altre, la reazione del critico francese Roger Callois davanti a quello scrigno di frasi fulminanti: «E questo da dov’è uscito?».
«In ogni parte il mio lato è il sinistro. Sono nato da questo lato»: è uno dei tanti motteggi da affidare ai posteri. Le sue voci pescano dai mistici di ogni epoca. Dal taoismo di «Vorrei essere parte di qualcosa, per non essere parte di tutto» al cristianesimo: «Sì, è necessario soffrire, anche invano, per non vivere invano». C’è anche qualche frase che sarebbe buona per i social, magari accompagnata a una foto da affidare a Instagram: «Ti amo come sei, ma non dirmi come sei». Non si può essere saggi per sempre, anche il genio ha i suoi lati pop.
Il primo a tradurlo è proprio Callois, che pubblica una selezione di aforismi sull’annuario dell’editore francese Gallimard. Quel lavoro fa scoprire Porchia al poeta surrealista André Breton. In Sudamerica diventa autore di culto, noto anche a Jorge Luis Borges. E dire che nel 1943, a Boca, quartiere popolare di Buenos Aires che rimanda all’epica calcistica, Porchia era un signore di mezza età che lavorava di notte a un libro per il quale non avrebbe mai trovato un editore. Lo stampa pagando di tasca sua, non trova lettori e lo regala alla cooperativa che gestisce le biblioteche popolari della città. Da lì parte il passaparola: in quelle pagine non c’è soltanto la velleità (molto diffusa anche ai nostri tempi) di vedersi pubblicati e dirsi scrittori. Ci sono lampi di arte. Che Borges incasella mettendo il genio calabrese nella stessa frase assieme a Novalis e La Rochefoucault. Il successo è inatteso: nel 1948 occorre fare una seconda e una terza tiratura del primo volume, mentre, in fretta e furia, viene stampato un secondo volume. La traduzione di Gallimard vale a Porchia un invito in Francia per tenere una serie di conferenze. Lo scrittore è onorato ma risponde con uno dei suoi aforismi taglienti: «Le distanze non hanno fatto nulla. Tutto è qui». È un modo per dire che non ha intenzione di muoversi da Buenos Aires mentre il mondo scopre il suo talento.
Di un tratto surrealista sua biografia si occupa l’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea, a cui si deve un lavoro di ricostruzione puntuale della vita dell’aforista. È lo stesso Porchia a raccontare che l’addio alla Calabria della sua famiglia sarebbe legato alla decisione del padre di abbandonare il sacerdozio per amore di una ragazza. Scelta che avrebbe determinato il destino della famiglia, condannata a un perenne peregrinare ("trashumancia", la chiamerà Antonio) per evitare lo scandalo. Alcuni parenti e uno dei suoi migliori amici hanno sempre sostenuto che Porchia si sarebbe inventato tutto, forse soltanto per stupire. Come nei suoi aforismi geniali che ritornano ciclicamente. D’altronde, risponderebbe lui, «L’uomo è una cosa che si impara da bambini. Una cosa di bambini». E chi se non un bambino (geniale) può eccellere in certa cronaca romanzata.