Il fiume Crati e l’incuria, sono questi i cavalieri fantasma che in un futuro, non troppo lontano, potrebbero inghiottire e far sparire per sempre il sito archeologico dell’antica Sybaris. Questa volta l’allarme viene lanciato da Europa Nostra, la federazione pan-europea per la promozione e la salvaguardia del patrimonio culturale del vecchio continente, che ha inserito il sito di località Parco del Cavallo nel "Seven Most Endangered 2020", cioè tra i sette siti culturali più in pericolo di tutta Europa.

Verso un destino atroce 

I resti dell’antica colonia magnogreca, una delle più floride, delle più avanzate e forti polis dell’età ellenica, che già vivono in uno stato di precarietà costante (leggi anche Sibari, il parco archeologico muore sott'acqua. Inutili i lavori di drenaggio per 4 milioni di euro e Spesi 4 milioni e poi lasciato tutto a marcire. «Rimasti soli a difendere il tesoro di Sibari») rischiano un destino atroce: quello dell’oblio culturale e materiale.

Le tre grandi minacce per Sibari 

Le minacce sull’antica Sibari, oggi, sono tante. La prima su tutte è l’ignoranza, nel senso stretto del termine, e la mancanza di orgoglio identitario della gente ionica che in quasi un secolo dalla “scoperta” delle rovine dell’antica Sybaris non ha mai saputo comprendere il valore artistico, storico e culturale di questo meraviglioso angolo di Calabria.

La seconda, l’incapacità delle istituzioni e delle strutture amministrative di avviare una efficace politica di management del patrimonio archeologico calabrese, spendendo tanti soldi con la capacità di mandare tutto in malora (leggi anche Calabria, tesoro ignorato: il Colosseo conta 14 volte più visitatori di tutti i siti regionali). Ed in questo senso non è solo Sibari a piangere, ma anche i parchi archeologici di Capo Colonna (dove addirittura un’intelligenza sopraffina ha coperto i reperti storici con una colata di cemento), di Scolacium e Caulonia, e siti “minori” come Castiglione di Paludi (leggi anche Tra lo Jonio e la Sila Greca, viaggio nella Calabria dimenticata che rischia di sparire). Insomma una palude di incapacità gestionale che rischia di dare il definitivo K.O. alla nostra memoria.

C’è poi una terza minaccia, la più importante e quella contro la quale si può solo prevenire. È la natura. Che da sempre, oggi come ieri, si riprendere quello che è suo. E nel caso di Sibari si chiama Crati: il fiume leggendario di Alarico, che ancor prima di diventare celebre per il tesoro del re dei Visigoti passò alla storia per essere stato lo strumento con cui nel 510 avanti Cristo i coloni di Kroton distrussero Sybaris deviando proprio il corso del fiume. 

Italia Nostra: «Riportiamo attenzione su Sibari» 

«La scelta di Italia Nostra di accendere i riflettori sul sito archeologico di Sibari – spiega Angelo Malatacca presidente della sezione di Trebisacce di Italia Nostra Onlus - è motivata dai ricorrenti e irrisolti problemi di allagamento del Parco, dalle difficoltà della gestione ordinaria del sito (una per tutte, la scarsità dei fondi per operazioni basilari come il taglio dell’erba), dalla recente inchiesta della Magistratura sulle spese per realizzare le trincee drenanti per difendere il sito dalle alluvioni del Crati e, infine, dalla scarsa accessibilità e fruizione del sito che non dispone di alcun collegamento con la Stazione Ferroviaria di Sibari e di una segnaletica stradale poco efficace».

In realtà le aree che circondano gli scavi di Sibari e lo stesso Museo Nazionale della Sibaritide che sorge nelle adiacenze degli scavi, oltre che essere minacciate dalle acque del fiume Crati che tracimano spesso e volentieri a causa di argini poco strutturati e molto compromessi dalla mano dell’uomo, versano in condizione di estremo abbandono e tutti i proclami lanciati all’indomani dell’ennesima alluvione sono andati in fumo. Eppure, come dicevamo, si tratta di un Parco Archeologico di grande importanza storica che si estende lungo la Statale 106 per circa 170 ettari.