Niente sepolcri, niente Caracolo, niente Svelata. Per il secondo anno consecutivo anche a Caulonia la tradizione è costretta a cedere il passo alla pandemia. Così i secolari riti della Settimana Santa subiscono un nuovo stop. Per molti, anche non credenti, rappresentavano l’appuntamento più atteso dell’anno, l’occasione per tornare in paese e ritrovarsi capace di far da collante tra diverse generazioni. Tradizioni che non si fermarono neppure in tempo di guerra quando, seppur con modalità diverse e in regime di coprifuoco, si svolsero regolarmente. Perché nella storia cauloniese la pietà popolare è sempre stata un punto fermo della società.

«Lo stato d’animo è a terra – spiega Luciano Roccisano, priore dell’arciconfraternita del Rosario – la mancanza di poter celebrare le nostre funzioni si sente perché parliamo di tradizioni che vanno avanti da 600 anni. Sarà per noi un sacrificio enorme a cui speriamo di non doverci adeguare anche il prossimo anno».

L’appuntamento clou era senz’altro quello del sabato santo con il Caracolo, processione che affonda le sue radici all’epoca della dominazione spagnola, con otto statue portate in processione per le vie del paese, raffiguranti i momenti più significativi della Passione di Cristo. In corteo i confratelli delle due arciconfraternite cittadine, animati da un’antica rivalità, vestiti di saio bianco e incappucciati con una corona di spine sul capo.

«C’è tanta tristezza. Siamo cresciuti anche grazie a queste tradizioni – racconta Paolo Suraci, priore dell’Immacolata – a mancare per noi è anche la preparazione a questi momenti, e ci sentiamo smarriti. Si spera di tornare più energici di prima, per non perdere quello che i nostri avi ci hanno lasciato nel corso di questi secoli».