"Tutta la serie di organismi societari in vario modo riconducibili alle iniziative di Antonio Saladino non trova spiegazione, se non nell'ottica accusatoria, di strutture organizzative complesse, create e preordinate all'unico scopo di servire alla piena realizzazione del programma criminoso e non altro, volto a fare incetta di bandi pubblici e quindi a diventare il fulcro dell'occupazione legata a rapporti con la pubblica amministrazione nella regione".


La corte d'Appello di Catanzaro scrive un nuovo capitolo della maxi indagine "Why not" con le motivazioni della sentenza con cui ha condannato, il 22 giugno scorso, l'imprenditore ed ex presidente della Compagnia delle opere Antonio Saladino a 2 anni e 4 mesi, il referente della società "Need & Partners" Antonio Giuseppe Lillo a un anno e 8 mesi e Antonio La Chimia a un anno. Nell'ottobre del 2013 la sesta sezione penale della Cassazione per il capo di imputazione relativo all'associazione a delinquere aveva deciso per l'annullamento con rinvio. Nella prima sentenza d'appello, datata 27 gennaio 2012, la corte aveva condannato Saladino a 3 anni e dieci mesi, Giuseppe Lillo a 2 anni, e La Chimia a 1 anno e 9 mesi.


L'inchiesta Why not, aperta dall'allora pubblico ministero Luigi De Magistris, ipotizzava l'esistenza di una un'associazione per delinquere costituita da imprenditori privati, politici e dirigenti regionali che mirava a mettere le mani sui finanziamenti pubblici della Regione Calabria. Una tesi accolta dai giudici catanzaresi secondo i quali "la stabilità del vincolo, la reiterazione delle condotte, la scoperta finalità di una pur abile ideazione elevata a sistema, non lasciano dubbi intorno all'esistenza di una coerente e coesa logica delle attività intraprese dalle varie società riconducibili a Saladino principale ideatore di un ambizioso progetto volto a creare lavoro attraverso un perverso legame con la politica".


Secondo la Corte del capoluogo calabrese si è instaurato un reciproco scambio tra le società di Saladino e i rappresentanti politici che dipendevano "per la propria affermazione dalla garanzia di rilevanti pacchetti di voti forniti dalle persone assunte tramite le società impegnate nel ripetuto gioco delle assunzioni". A dimostrare l'esistenza di una stabile organizzazione ci sono "il numero e la qualità delle condotte realizzate, ma anche l'estensione numerica dei lavoratori interinali coinvolti (arrivati al considerevole numero di 490), la mancanza di controlli e di verifiche sulla fornitura delle prestazioni richieste e la mancanza di qualsiasi aspetto di concorrenza nel settore". Le motivazioni della sentenza non mancano di sottolineare i rapporti tra i principali esponenti politici regionali e Saladino "pronto a sostenere candidati al governo della regione, anche di diversa e opposta estrazione politica". Proprio i politici, scrivono i giudici, erano "i soli che potevano garantire il rimanere in piedi dell'intera operazione".


Grazie all'assoluta assenza di opposizione al sistema di affidamento, le società al centro dell'indagine hanno potuto accaparrarsi progetti "ideati e mai pienamente realizzati, strumentali alla sola regolarizzazione di assunzioni dal chiaro stampo clientelare, mai funzionali al pubblico interesse". (AGI)