L’esponente reggino di Forza Italia, non più coperto dall’immunità parlamentare, è finito ai domiciliari per una condanna in primo grado a 5 anni. In cambio, avrebbe permesso il trasferimento dalla Sicilia di un dipendente delle Poste e promesso un posto di lavoro al luogotenente del clan (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Un accordo illecito, funzionale allo scambio di utilità». Così il Gip di Reggio Cotroneo, bollava nell’ordinanza, divenuta esecutiva oggi dopo l’esclusione da palazzo Madama dell’ex senatore Marco Siclari, l’ennesimo presunto intreccio tra politica e crimine organizzato in provincia di Reggio. Un accordo illecito imbastito tra Domenico Laurendi – interfaccia di primo piano della cosca Alvaro nel territorio di Sant’Eufemia d’Aspromonte – e il giovane ex Senatore (ristretto adesso agli arresti domiciliari) con un passato da consigliere in Campidoglio, per il tramite di Giuseppe Antonio Galletta, medico molto conosciuto in città e grande sostenitore elettorale dello stesso Siclari.
Un accordo politico-mafioso che avrebbe fruttato al candidato trapiantato a Roma una valanga di voti nel feudo montano degli Alvaro, e all’esponente del clan, una serie di favori a personaggi da lui stesso indicati al parlamentare. Un accordo costato all’ex senatore di Forza Italia una condanna in primo grado a cinque anni e 4 mesi disposta dal tribunale di Reggio nel febbraio scorso, e che è stato ricostruito pezzo per pezzo dalle indagini della distrettuale antimafia dello Stretto.
L’accordo
«Quella notte delle candidature, quando l’ha chiamato Berlusconi, il primo ha chiamato a me». Aveva messo subito le carte sul tavolo il “grande elettore” Galletta. Il “cavallo” che la cosca avrebbe dovuto sostenere era un suo amico personale: «Io non è che volevo – racconta il medico reggino a Laurendi, che prima di finire nell’inchiesta Eyphemos era rimasto coinvolto, ed assolto in primo grado, nell’operazione della Dda reggina Xenopolis – però purtroppo si è candidato un amico mio intimo, che è al Senato di Forza Italia… Siclari. Prima della candidatura è sempre stato con me e quindi ora… gli voglio trovare un po’ di voti… in questo bordello». Una richiesta esplicita che non sorprende l’esponente del clan che «con tono rassicurante» tranquillizzava l’amico con un semplice «e che problema c’è?».
L’incontro
E se gli incontri tra Galletta e Laurendi erano propedeutici alla sigla formale dell’accordo, per l’ultimo passo serviva un contatto diretto tra il candidato al Senato e l’esponente del clan. Incontro, certificavano le indagini, avvenuto il 28 febbraio 2018, una manciata di giorni prima del voto. Laurendi e Galletta di incontrano in un bar del Corso a Reggio in cui si erano dati appuntamento, ed insieme raggiungono a piedi la segreteria di Siclari, in via Osanna.
«L’appuntamento – si legge nell’ordinanza – tra Galletta, Laurendoi e Siclari ebbe durata di circa 40 minuti». Impossibile però sapere cosa si siano detti i tre all’interno della segreteria visto che Laurendi – a cui era stato veicolato un dispositivo che consentiva alle forze dell’ordine di utilizzare il microfono del suo smartphone per captare le conversazioni – aveva avuto l’accortezza di togliere la propria sim dal telefono.
La campagna elettorale
Il materiale propagandistico a sostegno di quella candidatura, raccontano le indagini, arriverà nelle mani del boss direttamente da una hostess di Palazzo Campanella e a diffonderlo nella circoscrizione ci penseranno gli uomini del clan. Una volta messa in moto, la macchina elettorale “coordinata” dagli Alvaro si muoverà con efficienza, tanto da garantire al proprio candidato, un successo elettorale con percentuali da consultazione bulgara. Il 46% delle preferenze a Sant’Eufemia, il 49% a Delianuova, addirittura il 63% a Sinopoli.
Un plebiscito che aveva posto il giovane senatore anche davanti a Luigi Fedele, originario di quei luoghi e politico di lunghissimo corso. Una vittoria schiacciante di cui Laurendi si vanterà in numerose conversazioni captate dagli inquirenti e che porterà lo stesso presunto boss a presentarsi “all’incasso”, appena un paio di mesi dopo le consultazioni per il rinnovo del Parlamento. Sul tavolo c’è il trasferimento di una dipendente delle Poste che non vede l’ora di tornare a Messina dopo 18 mesi passati a Varese – trasferimento avvenuto in tempi record, come da accordi e con modalità «mai viste» - e un posto di lavoro per il proprio figlio, magari proprio nella struttura del novello senatore.