Non si è mai sciolto quel velo di lutto che da sempre avvolge la morte di Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano. I loro nomi verranno celebrati insieme a quelli di altre mille persone nel corso della manifestazione di Libera che si terrà a Trapani domani. Sono due vittime innocenti di mafia che hanno avuto una fine tragica e nessuna giustizia. Sono le vittime di un sistema che ha sempre tenuto la bocca cucita e la coscienza sotto controllo. Intorno all’agguato che li ha uccisi il 24 maggio del 1991 c’è l’affare sul conferimento dei rifiuti che in quegli anni cominciava a ingolosire le mafie.

Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano erano due netturbini. Il primo aveva 40 anni, era un padre di famiglia amorevole, un uomo allegro che gli amici chiamavo “tarantella” perché fischiettava sempre una tarantella.

Pasquale Cristiano aveva 28 anni, era un ragazzone alto e robusto ma anche fragile e buono, legato alla famiglia e col desiderio di lasciare un buon segno nel mondo passando attraverso il mondo scout.
Tramonte e Cristiano sono stati travolti alle cinque del mattino da una raffica di proiettili calibro 7,62 sparati da un uomo che imbracciava un kalashnikov del modello usato nell’esercito degli Stati Uniti. Crivellati di colpi mentre in contrada Miraglia, nel quartiere Sambiase di Lamezia Terme, effettuavano la raccolta della spazzatura.

Un compito che non sarebbe spettato a loro in realtà. E questa è la prima stranezza nella terribile morte di Pasquale e Francesco.
Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte erano dipendenti comunali col compito di spazzare le strade. Non erano dipendenti della Sepi, società che aveva l’appalto per prendere i camion e raccogliere i rifiuti dai cassonetti. Ma il 24 maggio 1991 c’erano Tramonte e Cristiano sul camion della Sepi a sostituire due dipendenti della società che erano assenti. E già questo fatto lascia diverse perplessità. Perché due dipendenti comunali, di cui uno con problemi di salute che gli dovevano impedire di lavorare di notte e con mezzi meccanici, erano stati assegnati alla raccolta sul camion che competeva ai dipendenti Sepi? A guidare il camion c’è un unico dipendente Sepi, Vincenzo Bonaddio, allora 35 anni. Mentre faceva manovra per agganciare i cassonetti vede nello specchietto retrovisore un uomo, barba e capelli lunghi. Fa in tempo a scappare, con tre proiettili in corpo, di cui uno che gli ha quasi staccato un polso.

Ma per Tramonte e Cristiano non c’è stato scampo. I loro corpi crivellati sono rimasti sul quel camion mentre si consegnavano per sempre alla Storia come vittime innocenti di mafia.

Il processo per quell’omicidio ci ha messo due anni a partire, la sentenza arriva a giugno 1993. L’unico imputato, Agostino Isabella, è stato assolto. È deceduto qualche anno dopo ma tant’è: dopo l’assoluzione non c’è stato appello perché il pm, Luciano D’Agostino, presentò in ritardo la richiesta di ricorso.
Magrissima consolazione: la Corte d’assise scrisse in sentenza quella che era la situazione amministrativa dell’epoca, parlando di «macroscopici favoritismi attuati mediante evidenti violazioni di legge che non potevano non rendere il settore della nettezza urbana del Comune di Lamezia Terme terreno di conquista di spregiudicati operatori mafiosi. E l’egemonia del gruppo facente capo prima alla Cise e poi alla Sepi non tardò a subire gli assalti di chi con ferocia e con metodi mafiosi perseguiva il chiaro fine di scalzarlo e di prenderne il posto».

Il segnale doveva arrivare in maniera eclatante agli amministratori e arrivò a colpi di kalashnikov, esplosi alle cinque del mattino.