Accade in piccolo centro del Tirreno cosentino. I maltrattamenti, le lesioni, la violenza sessuale, le telecamere in casa. «Sono stati tanti anni di sofferenze. Quella sera ho pensato “O mi uccide lui o mi uccido io». Le lungaggini burocratiche e la vita appesa alla carità degli altri
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Credeva che il peggio fosse passato quando i carabinieri l’avevano portata via dalla casa che condivideva con un marito che la picchiava, la insultava e la stuprava.
Oggi lui è in prigione con l’accusa di maltrattamenti, violenza sessuale aggravata, lesioni e interferenze illecite nella vita privata.
La Procura di Paola ha chiuso le indagini su di lui agli inizi di ottobre perché avrebbe sottoposto la moglie e i figli – difesi dall’avvocato Domenico Villella – a offese quotidiane: «Sei una p*****a, non servi a nulla. Non comprendo il motivo per cui vivi, sei inutile; è meglio che muori, così posso portarmi a casa un’altra donna». E ai piccoli: «Siete zecche, non siete figli miei, non servite a un c***o; non siete degni di stare a casa».
Dopo le violenze un gravissimo stato di indigenza
«Sono stati tanti anni di sofferenze», racconta lei che, anche se ha in qualche modo scavalcato quei momenti di violenza, si trova ora a dover fare i conti con un gravissimo stato di indigenza.
Ricorda il terrore che il marito aveva instillato in lei e nei figli. Ricorda «la paura che avevamo del suo ritorno a casa. Ci mettevamo tutti e tre in una stanza, cercavamo di non incontrarlo».
Ricorda la sofferenza, anche fisica, quando aveva bisogno di una trasfusione a causa di un grave stato di anemia e lui non voleva che si curasse perché testimone di Geova.
Ricorda i denti caduti dopo un pugno. Quegli stessi denti che lui prima aveva pagato per farli curare «e poi mi diceva che era contento che ora non potevo più sorridere».
«Stasera o mi uccide lui o mi uccido io»
E ricorda quella sera agli inizi di settembre. «Era più arrabbiato del solito, parlava brutto ai ragazzi. Al più piccolo diceva che era nato per curare il fratello malato e che non era desiderato. Il piccolo cercava di reagire: “Non è vero, mamma mi vuole bene”».
Quando la donna ha visto che stava attaccando i ragazzi più del solito ha chiamato l’unica amica che le fosse rimasta. E sono arrivati i carabinieri. «Io non mi fidavo più degli altri. Avevo paura che se i carabinieri non avessero fatto nulla ci saremmo trovati soli con lui e sarebbe accaduto un disastro. Però pensavo anche: “Stasera o mi uccide lui o mi uccido io”».
Invece i militari di Aiello Calabro capiscono subito che qualcosa non va. La chiamano in disparte, «tu qui non puoi più stare», le dicono.
«Li devo ringraziare per tutta la vita – racconta oggi questa madre –, sono stati degli angeli».
Il lungo racconto ai carabinieri
È nella caserma dei carabinieri che la donna, finalmente, racconta tutto: le telecamere in casa per tenere tutti sotto controllo, l’impossibilità di lavorare o di mantenere qualunque forma di vita sociale. L’impossibilità per i figli di portare amici a casa.
Le minacce, davanti ai ragazzi, di non lasciarle denaro per mangiare se lei non avesse avuto rapporti sessuali con lui.
Il più grande dei ragazzi anche lui ha testimoniato le vessazioni subite. E quella prima sera, lontano dal padre-padrone, non smetteva di tormentarsi: «Non è che divento come mio padre?»
Soli e senza sostentamento
A parte il sostegno dell’avvocato e dell’unica cara amica, questa donna - residente in un piccolo centro del Tirreno cosentino – si sente «completamente sola».
Quando il marito è stato arrestato e lei ha potuti fare ritorno a casa (sempre accompagnata dai carabinieri perché al piano di sotto abitano o suoceri) non ha trovato più le carte di credito, il denaro e nemmeno i documenti di uno dei figli, disabile, che è ricoverato in un centro del Catanzarese. La situazione di indigenza è divenuta presto insostenibile. La famigliola si è trovata anche senza la bombola del gas per poter cucinare, fare una doccia calda.
Le lungaggini per avere il reddito di inclusione
La donna – sulle cui generalità il riserbo è d’obbligo vista la presenza di figli tutti minori – ha fatto domanda per il reddito di inclusione ma le lungaggini dovute alla mancanza dei documenti del ragazzo disabile e alla stessa burocrazia (l’Inps e i servizi sociali di Amantea) stanno costringendo tre persone a vivere della carità che ricevono da poche persone.
Il maggiore dei ragazzi non è potuto andare a scuola perché non avevano il denaro per i mezzi pubblici. Per il piccolo non c’erano soldi per una merenda. Il comune di residenza lamenta la mancanza di fondi e pare che in una occasione il vicesindaco abbia avviato una colletta per sostenere questa famiglia.
Il figlio disabile ha l’accompagnamento e l’invalidità. Tutto era gestito dal padre e ora non si sa questi soldi come vengano distribuiti. Tra l’altro la madre non vede questo figlio da mesi perché non può raggiungerlo. «La mamma di un compagno di classe del più piccolo mi ha aiutato per i libri di scuola».
Accanto alla solidarietà, però, c’è anche tanta diffidenza. C’è chi si è schierato dalla parte del marito. «Ci sono donne che mi giudicano perché l’ho denunciato – racconta questa madre –. Loro magari divorziano e io dovevo continuare a farmi prendere a botte?»