A Reggio, anche la Calabria scende in piazza per manifestare solidarietà alle donne della Turchia che non potranno più avvalersi degli strumenti di tutela previsti dalla Convenzione firmata nel 2011 proprio nel loro Stato che per primo nel 2012 l'aveva ratificata. Il presidente Erdogan ha, infatti, esercitato con un decreto il recesso dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ritenendo lo strumento internazionale superfluo rispetto ad un sistema legislativo nazionale assolutamente efficacie. I dati dell'organizzazione mondiale della Sanità, tuttavia, smentiscono questa efficacia dal momento che i femminicidi sono in aumento, 300 solo nel 2020.

Una decisione che ha indignato la comunità internazionale perché ritenuta un arretramento sul fronte complessivo della difesa della libertà, quale valore universale, e dunque del rispetto degli standard dei diritti umani.


«Il recesso della Turchia rappresenta un segnale di allarme da non sottovalutare. La convenzione in quanto tale vincola gli Stati e dunque li obbliga ad adottare delle leggi a tutela delle donne e di contrasto alla violenza e alla disuguaglianza. Essa rappresenta un traguardo per l'Europa che non deve essere disperso e sul quale ogni donna e ogni società devono poter contare per costruire reti di effettiva protezione e sistemi di democrazia reali. Sono per altro inaccettabili le motivazioni addotte dal presidente Erdogan che ha ritirato la sua adesione al trattato, dichiarando che la Convenzione di Istanbul sarebbe contraria alle norme dell’Islam e incoraggerebbe divorzio e omosessualità», ha commentato Lucia Cara, socia dell'Udi (Unione Donne Italiane) di Reggio Calabria.

Accanto alle donne della Turchia anche la cittadinanza calabrese

Agedo, Anpi, Arci, Csoa Angelina Cartella, Cobas, Cuore di Medea, Centro Ellinomatehia, Equosud, Immezcla, Jineca, Legambiente, Magnolia, Nudm, centro sociale Nuvola rossa Villa San Giovanni, Potere al popolo, rete Jin, Udi, Un mondo di mondi, Usb, circolo del cinema Cesare Zavattini, ecco la rete di associazioni che ha promosso la manifestazione in piazza Italia a Reggio Calabria per esprimere civilmente dissenso verso una scelta che di fatto si pone contro la giustizia, ostacola il contrasto serio alle discriminazioni e alla violenza e non favorisce la democrazia.


Una decisione che, in particolar modo in Turchia, si pone comeattacco diretto alle donne che, se troppo libere, minaccerebbero pervicaci e radicati sistemi patriarcali, come effettivamente già stanno facendo.

«La battaglia per la Convenzione di Istanbul e contro la politica oscurantista del regime turco è una battaglia per la libertà. Una battaglia contro un ritorno al passato inaccettabile per le donne. Questo ritiro, dunque, ci preoccupa molto anche perché si ascrive a questo clima di ostilità che vuole riportare la Turchia e le donne in un contesto fondamentalista  soffocante, senza diritti e libertà. L’unica voce che si è alzata per la stabilizzazione e la pace della regione, per una convivenza pacifica ed egualitaria di etnie, religioni e generi è stata quella del Confederalismo democratico, il cui ideatore è il leader Abdullah Ocalan, il Mandela curdo isolato da oltre 20anni nell’isola carcere di Imrali. Un modello di pace, democrazia diretta, cura ecologica, fondato sulla liberazione delle donne è ad oggi ancora incessantemente e impunemente aggredito dall’esercito turco», ha sottolineato Rosalba Marotta, rete Jin di Reggio Calabria.

Grazie all'impegno di sensibilizzazione delle associazioni anche molti comuni della Calabria, come Riace e Cinquefrondi hanno già conferito a Abdullah Ocalan la cittadinanza onoraria quale riconoscimento per il suo impegno per la Pace e la convivenza tra popoli nel Mediterraneo, ancora costantemente minacciata da derive ideologiche violente ed estremiste. I comuni di Rende e Reggio stanno per farlo. Approvata la delibera di giunta, si è adesso in attesa del Consiglio Comunale utile per la ratifica.

Diritti delle donne e diritti umani, una questione di civiltà

La convenzione di Istanbul definisce finalmente nel suo articolo 3 la violenza nei confronti delle donne come «violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata». Una conquista che va difesa ogni giorno con un impegno trasversale al quale è chiamato ogni Stato e che coinvolge l’intera cittadinanza.


«Purtroppo oggi assistiamo quotidianamente al dramma di donne vittime di violenza e omicidio. Una situazione intollerabile per ogni paese civile. La difesa della Convenzione di Istanbul è, per questo, una battaglia di civiltà; essa incarna la difesa di un presidio prezioso che molto può fare per garantire la vita e la libertà delle donne e, dunque, la democrazia di tutti», ha evidenziato Antonio Casile, presidente dell'Anpi Reggio Calabria.


Il cammino per l’affermazione dei diritti delle donne è cominciato estremamente tardi, solo nel secolo scorso con la Convenzione sui diritti politici della donne (1952), la Convenzione sulla nazionalità delle donne sposate (1957), la Convenzione per il Consenso al Matrimonio, l'Età Minima per il Matrimonio e la Registrazione dei Matrimoni (1962), la Dichiarazione sull’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne del 1967, la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 1979, nota anche come Cedaw - Convention about Elimination of Discrimination Against Women.
Tutti documenti ispirati dalla Dichiarazione dei Diritti Umani adottata dall'Onu nel 1948 il cui primo articolo recita «Tutti gli esseri umani nascono liberi in dignità e diritti». In questi decenni essi hanno tracciato l’inizio di un percorso che proprio nella convenzione di Istanbul, ratificata in Italia nel 2013 e che oggi si vorrebbe delegittimare in alcune aree d'Europa, riconosce un traguardo condiviso e fondamentale.


Dunque quello avviato dalla Turchia, e già prima da Ungheria e Polonia, è un processo che deve allertare poiché minaccia seriamente conquiste faticosamente conseguite e il cammino ancora lungo verso una società più Giusta e più Libera per ogni Persona, a prescindere.