Fu un agguato brutale, in tipico stile mafioso, da professionisti della morte. Era l’11 marzo 2010, sera. Michele Palumbo, 45 anni, perito assicurativo, fu assassinato da un commando in mimetica davanti agli occhi delle figlie, mentre rientrava nella sua abitazione di Longobardi, frazione di Vibo Valentia. Fu, quell’agguato, la prima vera sfida del clan dei Piscopisani allo strapotere del clan Mancuso nella provincia vibonese. Palumbo – racconta oggi Raffaele Moscato, ex sicario di Piscopisani passato tra le fila dei collaboratori di giustizia – fu assassinato perché ritenuto il referente del boss Pantaleone Mancuso alias “Luni Scarpuni” su Vibo Marina. Una presenza sgradita al cartello emergente formato dagli stessi Piscopisani e dalla cosca Tripodi, affrancatasi dalla condizione di subalternità a cui storicamente l’aveva relegata il locale ’ndranghetista di Limbadi. E così sarebbero state le due anime del cartello a pianificare quell’agguato e a mettere a disposizione i componenti del commando che quella sera entrarono in azione con efferatezza, nonostante la presenza delle figlie dell’uomo. Quell’omicidio fu il prologo di una mattanza, quella che un anno e mezzo dopo, con l’omicidio del boss di Stefanaconi Fortunato Patania, si scatenò nell’ambito della guerra tra Patania e Piscopisani, con la regia del superboss “Luni Scarpuni”, e quindi della cosca Mancuso, schierati dietro le quinte con la famiglia mafiosa di Stefanaconi. Sopravvissuti alla guerra, i Piscopisani rischiano ora di essere definitivamente annientati da una gola profonda.

 

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