Il superpentito Andrea Mantella sulle provinciali del 2004: «Damiano Vallelunga mi disse che incontrò Saverio Mancini jr». Dalle comunali del 1994 alle primarie del 2015: il boicottaggio al professor Giancotti, la sconfitta di Michele Soriano, l’ascesa di Censore. E poi quegli elettori portati a votare «dall’ospedale con le barelle»
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Ogni elezione - dalle primarie alle politiche, passando per le amministrative e le regionali - ha avuto la sua storia. Anzi, forse ne ha avute due, almeno a leggere i racconti dei collaboratori di giustizia, le intercettazioni, le sintesi della polizia giudiziaria: una storia nota ed un’altra sconosciuta, che oggi, grazie a “Rinascita Scott”, una delle più grandi inchieste nella storia del contrasto al crimine organizzato, affiora. Premessa necessaria: non tutto è riscontrato e non tutto è riscontrabile, molti eventi sono datati, alcuni dei protagonisti sono deceduti. Ma sono fatti di evidente interesse pubblico, contemplati agli atti dell’indagine appena chiusa dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Indagine i cui esiti attendono il vaglio dibattimentale e che, al contempo, lascia aperte autentiche autostrade investigative.
Le elezioni provinciali del 2004
Si va indietro, correva l’anno 2004. Si votava per le provinciali a Vibo Valentia. Erano altri tempi: quando la Provincia era un ente che contava, che aveva una capacità di spesa enorme, quando esserne il presidente significava diventare l’uomo più potente del territorio. Gaetano Ottavio Bruni, allora, era all’apice della sua influenza e del suo potere e nella leadership sul Vibonese aveva ormai sostituito il senatore Antonino Murmura, giunto al tramonto di una carriera che non avrebbe più avuto eguali.
Bruni era il presidente uscente e si ricandidava alla testa di una coalizione da record: sedici liste ed un esercito di candidati, tra i quali c’era anche l’allora fedelissimo (oggi indagato) Pietro Giamborino, già assessore al Bilancio, destinato ad assumere le vesti di presidente del consiglio provinciale. Antagonista di Gaetano Bruni era Saverio Mancini jr, erede della dinastia che ha indissolubilmente legato il suo nome al settore del turismo e della ricettività nel Vibonese. Con Mancini “solo” (ed è tutto dire) dieci liste. Un gap evidente da recuperare.
Dal verbale illustrativo della collaborazione di Andrea Mantella, ex killer ed aspirante boss oggi pentito, pagina 248: «Con riferimento a Saverio Mancini, il figlio di Peppino, posso riferire che si è mosso con Vincenzo Barba e Carmelo Lo Bianco, quando si è candidato in politica, per chiedere sostegno elettorale, incontrando diversi criminali tra cui Damiano Vallelunga; questa cosa me la disse lo stesso Damiano Vallelunga».
Un’affermazione tutta da riscontrare: precisiamo al riguardo che Saverio Mancini è estraneo all’inchiesta “Rinascita Scott” ed a qualsiasi contestazione di reato; Damiano Vallelunga, invece, capo del clan dei Viperari delle Serre, è stato assassinato il 27 settembre del 2009 davanti al santuario di Riace, nel giorno dei Santi medici Cosma e Damiano, vittima eccellente della guerra di ’ndrangheta che le cronache ricordano come la nuova faida dei boschi.
L’unico dato certo è che Gaetano Bruni vinse quella tornata sfondando abbondantemente il tetto del 60% dei consensi. Seguirono quattro anni di amministrazione tormentati, che - tra spese folli, polemiche, sospetti e divisioni - condussero l’ente al default, fino alla riforma Delrio che ne ha ridimensionato prerogative e peso politico.
Le comunali del 2010
Dalle provinciali alle comunali di Vibo Valentia. Siamo nel 2010: dopo cinque anni con Franco Sammarco sindaco, un centrosinistra lacerato schierava il primario ortopedico Michele Soriano contro l’avvocato Nicola D’Agostino, figlio di Alfredo, grande giurista e tra i sindaci più amati nella storia della città di Vibo Valentia. La tornata si concludeva al ballottaggio: al primo turno Soriano, alla testa di sette liste tra cui quella del Partito democratico, raggiungeva il 41,11%; seguiva D’Agostino, con tre liste tra cui quella del Popolo della Libertà, al 28,7%; fuori dai giochi Tonino Daffinà, cinque liste tra cui quella dell’Udc, al 24,58%, e Nicolino La Gamba, una lista, al 5,59%. Si rendeva necessario, quindi, il turno di ballottaggio, che vedeva D’Agostino sfiorare il 60%, con Soriano al 40%.
La (presunta) storia sconosciuta di quella tornata è in una intercettazione del 7 maggio del 2017: i carabinieri del Ros registrano in auto Giovanni Giamborino, ritenuto uno dei factotum del superboss Luigi Mancuso. Dialoga con un congiunto e spiega - in sintesi - perché parte del centrosinistra boicottò l’elezione del primario ortopedico come sindaco. Un’avversione che avrebbe avuto origini remote, addirittura da un elezione risalente nel tempo, quando Soriano avrebbe «votato contro al professore Giancotti».
Un passo indietro al 1994
Mario Giancotti, correva l’anno 1994, era il candidato del Partito popolare italiano. Medico, accademico e umanista di fama, si fermò al 24,68%, battuto da Giuseppe Iannello (38,96%), alla testa di una coalizione di sinistra, ma anche da Francesco De Filippis (26,49%), sostenuto da Alleanza nazionale. Fu una tornata particolare, quella, perché segnò l’esordio assoluto di Forza Italia, con il giornalista Giuseppe Sarlo candidato sindaco, il quale si fermò al 9,87%.
Secondo Giovanni Giamborino, il mancato appoggio di Michele Soriano e di Michele Ranieli, condannò il professor Giancotti alla sconfitta e mutò il corso della storia: «Che se saliva all’epoca il professore Giancotti, Vibo cambiava da così a così… Non c’era né Sammarco, non c’era né D’Agostino, Costa…». Il contrasto al medico che ebbe in cura perfino Sandro Pertini e di Rita Levi Montalcini sarebbe stato determinato dal fatto che lo stesso aveva come suo principale sostenitore proprio Pietro Giamborino, cugino di Giovanni.
Ritorno al 2010: comunali e… regionali
Tra Michele Soriano e Pietro Giamborino, in sostanza, iniziò un rapporto burrascoso che segnò anche gli anni 2000, durante il governo del centrosinistra alla Provincia di Vibo, dei Popolari prima e della Margherita in tandem con il Partito democratico più avanti. Sotto l’egida di Gaetano Bruni, all’epoca potentissimo presidente, i due si riappacificarono e questo sembrò aprire ad uno scenario di simbiosi che condusse fino, appunto, al 2010.
In quell’anno si votava non solo alle amministrative ma anche alle regionali: Giuseppe Scopelliti, con il 57,8%, avrebbe stracciato l’uscente Agazio Loiero, fermatosi al 32,2%. E così, mentre Michele Soriano era il candidato sindaco del centrosinistra a Vibo Valentia, Pietro Giamborino, consigliere regionale uscente, gareggiava per una conferma a Palazzo Campanella. Faceva però i conti con un competitor temibile: Bruno Censore, allora sindaco di Serra San Bruno, che sarebbe divenuto prima consigliere regionale e, successivamente, deputato della Repubblica.
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Il “tradimento” incrociato
Spiegava Giovanni Giamborino: «Avevano fatto l’accordo, un’altra volta, all’epoca, mo’ alle ultime elezioni, Michele per fare il sindaco e Pietro che lo doveva aiutare. Invece Pietro è stato regolare, che lo ha votato fino alla fine. Fino a due giorni prima, fino a quando non se n’è accorto… Quando si è accorto che Michele Soriano non votava a Pietro ma votava a Censore. Allora Pietro ha preso tutti i voti che ha… che aveva preso e glieli ha ribaltati, sennò Michele Soriano era sindaco al primo turno, non glielo fregava il posto Nicola D’Agostino… Pietro ha perso le elezioni che non lo hanno votato, ma Michele Soriano ha perso pure il sindaco e l’hanno presa in…».
Le primarie del 2015
Alle politiche del 2013 Bruno Censore fu eletto in Parlamento e così Pietro Giamborino sarebbe rientrato in consiglio regionale. Nel 2015, poi, una nuova tornata per le comunali, preceduta dalle primarie del centrosinistra che vedevano Pietro Giamborino in lizza come aspirante sindaco contro Antonio Lo Schiavo e Francesco Colelli. Sempre Giovanni Giamborino, intercettato: «Si sapeva che Lo Schiavo non saliva… Se Michele Soriano… Per duecento voti Pietro non è salito… Non era sindaco, sennò era Pietro il sindaco… Ma bastava pure che non facevano quello schifo che hanno fatto contro di Pietro all’ultimo minuto, che dall’ospedale li portavano con le barelle…».
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