Ancora di scena l’ex luogotenente dell’Arma, già alla guida dei carabinieri di Sant’Onofrio, Sebastiano Cannizzaro, nel processo contro il clan Patania che lo vede accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Un’accusa respinta con forza dall’ex comandante della Stazione dei carabinieri che ha offerto al Tribunale – rispondendo alle domande dei suoi legali, gli avvocati Aldo Ferraro e Pasquale Patanè – la sua verità e molti dati storici e circostanze di fatto finalizzate a smontare l’impianto accusatorio messo in piedi dalla Dda di Catanzaro.

  

«Non ho commesso alcuna rivelazione di segreti d’ufficio – ha affermato in aula Cannizzaro – e mai ho avuto modo di interloquire in tal senso con i Patania di Stefanaconi nei cui confronti, fra l’altro, sin dal novembre 2011 avevo un’attività di indagine e di intercettazione in corso delegata dall’allora pm della Dda di Catanzaro, Giampaolo Boninsegna, che stava seguendo un procedimento contro il clan Soriano di Filandari in cui emergeva un Loielo di Sant’Angelo di Gerocarne collegato anche al clan di Stefanaconi.

 

Le successive intercettazioni sui Patania - ha riferito l’ex maresciallo – sono state poste in essere dietro mia iniziativa, tanto che sono stato io personalmente ad avanzare una dettagliata richiesta alla Dda di Catanzaro il 24 novembre 2011. Il pm Giampaolo Boninsegna ha autorizzato in via d’urgenza tali intercettazioni, poi regolarmente convalidate dal gip».

 

In particolare, Sebastiano Cannizzaro ha spiegato di aver sistemato delle microspie all’interno della stazione di carburanti dei Patania, con annesso ristorante, denominata “Valle dei sapori”, poi all’interno dell’auto di Bruno Patania, in una Smart di Prestanicola ed infine nella Renault Clio intestata a Giuseppe Patania ma in uso a tutta la famiglia.

 

 Giuseppe Baglivo

 

Per approfondire:‘Ndrangheta, Cannizzaro in aula a Vibo: “Così ho indagato sul clan Patania”