Il poliziotto e agente segreto di origini reggine fu ucciso viaggiava con la giornalista del manifesto Giuliana Sgrena che aveva appena liberato. Dal soprannome "Il Nibbio" al legame con l'Aspromonte
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«A chi per vent’anni mi ha accusato di essere un’assassina rispondo che a sparare a Nicola Calipari sono stati gli americani, non io. Ma non posso dimenticare la sensazione di qualcuno che ti muore addosso. È stata la persona che mi ha salvata due volte, dai rapitori e dagli americani, a morire. E io vivo da sopravvissuta. Non ho mai potuto gioire per la mia liberazione, il 4 marzo è l’anniversario della morte di Nicola Calipari». Così ha concluso il suo editoriale sul Manifesto il 4 febbraio scorso, nel ventesimo anniversario del suo rapimento ad opera di un’organizzazione della Jihad islamica a Baghdad, dove lei era inviata per il suo giornale.
Lei è Giuliana Sgrena e quel 4 marzo, in cui diventano venti anche gli anni dalla morte del funzionario del Sismi, il reggino Nicola Calipari, che dopo un mese di prigionia e di contatti e trattative riservatissime, l'aveva liberata e la stava riportando in Italia, è oggi.
Nicola Calipari, poliziotto, militare e agente dei servizi segreti italiani, era nato a Reggio Calabria nel 1953. Morì a Baghdad nell'esercizio delle sue funzioni il 4 marzo 2005, lasciando la moglie Rosa e due figli, Silvia e Filippo.
La guerra in Iraq e il fuoco amico
A uccidere Nicola Calipari fu il fuoco aperto, ancora oggi in circostanze mai chiarite, dagli americani, a poche centinaia di metri dall'aeroporto di Baghdad dal quale lui e la giornalista Giuliana Sgrena sarebbero partiti per rientrare in Italia. Quella strada, Route Irish,per raggiungere l'aeroporto era infernale, flagellata da scontri e ostilità per questo era presidiata da posti di blocco americani, compreso quello che aprì il fuoco contro l'auto dei servizi segreti italiana. Ciò accadeva in un Iraq da due anni teatro di una guerra iniziata con l'invasione da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti d'America per arginare la pericolosa dittatura di Saddam Hussein e il suo presunto appoggio al terrorismo islamico. Una guerra che non tutti volevano, che divideva l'opinione pubblica, che subito si era mobilitata per invocare la liberazione di Giuliana Sgrena.
Ma perchè quel fuoco amico fu aperto? Un interrogativo ancora oggi senza una risposta chiara e univoca.
Le due versioni inconciliabili
La versione americana: il personale del Blocking position 54 aprì il fuoco, agendo in conformità alle norme di ingaggio, dunque il militare era immune da responsabilità. Il veicolo, non riconoscibile e senza scorta, era stato percepito come una minaccia che in velocità percorreva quella strada, senza decelerare anche dopo l'intimazione dell'alt da parte del mitragliere Lozano che per questo aveva aperto il fuoco. Una pallottola raggiunse alla testa Nicola Calipari che morì facendo scudo a Giuliana Sgrena che, unitamente al conducente, l'agente Andrea Carpani, restò ferita.
La versione italiana: la Procura di Roma, giunse a conclusioni diverse. La testimonianza dell'agente Andrea Carpani, alla guida della Toyota Corolla, fornì elementi discordanti rispetto alla ricostruzione statunitense. Dichiarò di essere andato piano lungo quella strada, con tutta l'intenzione di passare inosservato, e di avere improvvisamente avuto un riflettore puntato e contemporaneamente gli spari contro il veicolo. Dunque nessun agire sospetto che potesse giustificare il fuoco. Per questo il mitragliere statunitense di origini italiane, Mario Louis Lozano, fu accusato dalla magistratura italiana di omicidio volontario.
Due versioni inconciliabili che lasciarono interrogativi senza risposta e dubbi mai fugati. Per quanto Alleati, Usa e Italia peroravano posizioni profondamente diverse sui sequestri di persona e sui riscatti per liberare gli ostaggi.
Nessun processo
Il processo a carico di Mario Louis Lozano non si poté mai celebrare. La corte di Assise di Roma nel 2007 dichiarò il difetto di giurisdizione. Nel giugno 2008, la Corte di Cassazione italiana confermò la “non-giudicabilità” di Lozano per immunità funzionale.
Spuntò anche la confessione di una trappola tesa dagli stessi sequestratori che, ottenuto il riscatto avrebbero segnalato un'autobomba in arrivo su quella strada. Circostanze, tuttavia, mai verificate perchè la rogatoria, per ascoltare il detenuto iracheno che ne aveva riferito, non ebbe mai risposta. E poi le ombre gettare dalle rivelazioni di Wikileaks nel 2010. Tra i documenti pubblicati, anche i rapporti ufficiali dai quale sarebbe emerso un atteggiamento compiacente dell'Italia verso la versione del "governo amico", come quel fuoco mortale.
Verità e giustizia negate
La morte di Nicola Calipari resta ancora oggi senza colpevoli, senza una piena verità e senza giustizia. Ma è stato insignito della medaglia d’oro al valor militare. La Toyota sulla quale fu ucciso è oggi esposta all’ingresso della sede dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, che un tempo era il Sismi.
La fatica della memoria
Nella giornata di mercoledì 5 marzo, al termine dell’informativa urgente del Governo, nell’aula di Montecitorio avrà luogo la commemorazione di Nicola Calipari. Commemorazione di cui la moglie Rosa Villecco, ha dichiarato di non sapere nulla, intervistata da Fabio Fazio solo qualche giorno fa. Lei che è la familiare più stretta, anche ex senatrice ed ex deputata. Davvero singolare. Davvero un segnale assai preoccupante di un clima per nulla conciliante.
A Reggio Calabria, sua città di origine, nessuna commemorazione è in programma nonostante il ventennale. La Regione Calabria gli ha intitolato il maestoso auditorium di palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale della Calabria. Lo ha fatto in occasione di una cerimonia solo poche settimane dopo la tragedia. Era il 30 marzo 2005 ed erano presenti con tutte le massime autorità, l’allora direttore del Sismi, Nicolò Pollari e l’allora presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi. Toccanti parole al cospetto della famiglia. Oggi, 20 anni dopo, quasi silenzio.
Il tetto della struttura inaugurata in sui nome è crollato, 15 anni dopo, nel 2020. L'iter per la sua ricostruzione lo scorso anno ha registrato la consegna del progetto di fattibilità al settore tecnico di Palazzo Campanella per il prosieguo della attività burocratiche. Il finanziamento stanziato ammonta a circa 12 milioni di euro.
Il coraggio non si improvvisa
Nicola Calipari, innanzitutto un uomo. Un uomo buono, dolce, che infondeva sicurezza. Il coraggio lo ha costruito, scelta dopo scelta, lungo tutta la sua vita, fino all’ultimo istante. Così la moglie Rosa Villecco, intervistata da Fabio Fazio, lo descrive, non condividendo la definizione di eroe. Un poliziotto atipico, che invece dovrebbe essere tipico, quello sì. Ma non un eroe. Nicola ha fatto sempre scelte forti e coraggiose. Il coraggio non arriva mai di colpo. È frutto di un percorso. Credo che lui abbia incarnato ciò a cui si dovrebbe sempre tendere, ossia al giusto equilibrio tra sicurezza e rispetto dei diritti umani». Così lo ha tratteggiato la moglie, Rosa Villecco.
Il coraggio non si improvvisa. E infatti Nicola Calipari non contemplava altro modo di compiere il proprio dovere se non proteggendo con il suo corpo, dunque con la sua stessa vita, la giornalista Giuliana Sgrena che era andato in Iraq a liberare. Così ha agito per difendere la sua vita quando il pericolo è stato massimo e le circostanze lo hanno richiesto. Quella raffica di fuoco, anche se amico, lo aveva richiesto e Nicola Calipari non si era sottratto.
“Cor Habeo”
Dal latino “cor habeo”, coraggio significa avere cuore. Averlo e rischiare per ascoltarlo, affrontando la paura, non disconoscendola, e mantenendo ferma la condotta votata all'etica, all’integrità, allo spirito di servizio, alla lealtà e al rispetto della libertà e della vita, in ogni circostanza, prescindendo dai rischi e dai pericoli. La vita viene prima. Viene prima anche della propria quella della persona che si è stati inviati a liberare. Sempre tenuta al centro di ogni valutazione e di ogni scelta. Viene in soccorso un altro grande uomo, Giovanni Falcone che bene aveva spiegato, oltre un decennio prima, quanto il coraggio senza paura non fosse tale ma fosse piuttosto incoscienza. Invece il coraggio, quello vero, richiede la coscienza di discernere e la lucidità di operare nonostante le conseguenze quando un bene supremo come la vita è a rischio.
La radici nell'Aspromonte
Nicola Calipari era cresciuto in ambiente scout nel reparto Aspromonte del gruppo Reggio Calabria 1 dell'associazione Scouts Cattolici Italiani (Asci). In Aspromonte è tornato di recente e nidificare il Nibbio, rapace che ispirò il suo nome in codice nei servizi segreti e anche il titolo del film in uscita al cinema il prossimo 6 marzo con la regia di Alessandro Tonda.
Il Nibbio
La pellicola, che uscirà nelle sale dopodomani, il 6 marzo, mescola il linguaggio del thriller e della spy story, andando oltre l’operazione di salvataggio e concentrandosi sul lato umano dell’uomo che ha sacrificato la propria vita per portare a termine la missione. Interpretato da uno straordinario Claudio Santamaria, il film restituisce un ritratto autentico di Nicola Calipari lontano da qualsiasi retorica, incarnando il coraggio e la determinazione dell’eroe del Sismi senza trasformarlo in una figura mitologica.
Il titolo del film, "Il Nibbio", non è casuale. Il termine era il nome in codice di Calipari durante l’operazione in Iraq, ma ha un significato più profondo e legato con la sua città natale, Reggio Calabria. Il nibbio è un rapace tipico dell’Aspromonte, dove da giovane aveva fatto parte degli scout. Un richiamo ed un simbolo della sua capacità di osservazione e precisione strategica.
«Nicola non era un uomo d’azione spinto dall’ego, ma una persona che credeva nel valore del suo lavoro, con rigore e dedizione» le parole di Claudio Santamaria, in un’intervista in cui ha sottolineato il peso emotivo del ruolo.
Sanremo 2005: l’omaggio involontario di "Angelo"
La storia ci riporta a 20 anni fa, quando, in quei giorni, il Paese intera era incollata davanti alla televisione. Era la sera prima della finale del Festival di Sanremo 2005, e l’Italia apprese la notizia della morte di Nicola Calipari. Un vero e proprio momento di commozione nazionale, culminato nel giorno della finale. La Rai e Paolo Bonolis decisero di “asciugare” la serata finale, per farla terminare non oltre la mezzanotte ed in concomitanza con l’arrivo delle spoglie mortali del nostro Eroe.
L’esibizione finale del vincitore non si sarebbe dovuta tenere, da programma. Ma la vittoria di Francesco Renga con il brano "Angelo" fu immediatamente associata al sacrificio di Calipari. Pur essendo dedicata alla figlia dell’artista, la canzone divenne un simbolo di lutto e riconoscenza nei confronti di un uomo che aveva dato la vita per salvare un’altra persona. Così, il pubblico, con una grande standing ovation ed un lungo applauso, chiese l’esecuzione del brano e la dedica a Nicola Calipari. «Non potevo immaginare che quella canzone sarebbe diventata qualcosa di più grande. L’ho scritta per mia figlia, ma ho sentito il peso del momento e della tragedia che aveva colpito il Paese» ha ricordato Francesco Renga in un’intervista successiva.
L'intervista di Rosa Villecco Calipari a "Che Tempo Che Fa"
Eventi ed accadimenti che, venti anni dopo, sono ancora forti e presenti, pesanti come macigni. Domenica sera, la vedova di Nicola Calipari, Rosa Villecco Calipari, ha parlato a "Che Tempo Che Fa", intervistata da Fabio Fazio. Un momento intenso, in cui ha ricordato il marito e ribadito come, a distanza di vent’anni, non sia mai stata fatta piena luce sulla vicenda. «Non ho mai chiesto vendetta, ma verità. È questo che manca ancora oggi». Rosa Villeco Calipari ha sottolineato il dolore per una verità negata e il senso di ingiustizia per l’assenza di una responsabilità ufficiale.
In studio era presente visibilmente emozionato anche Claudio Santamaria, che ha raccontato il lavoro dietro "Il Nibbio" e il peso emotivo nel portare questa storia sullo schermo. Rosa Villecco ha espresso il suo apprezzamento per il film, sottolineando come possa rappresentare un contributo fondamentale per mantenere viva la memoria del marito.
Memoria e giustizia: un dibattito ancora aperto
L’uscita nelle sale cinematografiche de "Il Nibbio" riporta al centro il dibattito su Nicola Calipari, ma soprattutto sulle circostanze della sua morte, ancora oggi avvolte nel mistero. La musica, il cinema e la televisione diventano strumenti per tenere vivo il ricordo di un uomo che ha incarnato il senso più alto del dovere.
«Nicola è stato un uomo di Stato, ma anche un marito e un padre. Non possiamo permettere che il tempo cancelli la sua storia» ha concluso Rosa Villecco.
Nicola Calipari è un nome che oggi più che mai deve essere legato ad un simbolo di coraggio, servizio e sacrificio. La sua storia merita di essere ricordata, raccontata e soprattutto onorata con la verità.