Il retroscena emerge dalla deposizione del pentito Roberto Moio al processo “’Ndrangheta stragista”. «Diversi poliziotti fornivano informazioni alla ‘ndrangheta». E i pregiudicati alloggiavano al Miramare «senza registrazione». Il summit interrotto senza conseguenze e l’incontro per siglare la pax
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«Il boss Giovanni Tegano riuscì a sfuggire ad un blitz grazie alla soffiata di appartenenti alle forze dell’ordine infedeli che diedero l’informazione». È quanto afferma il pentito Roberto Moio al processo “’Ndrangheta stragista” in corso davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria. Il collaboratore, già appartenente alla famiglia Tegano, è stato chiamato a riferire dei rapporti fra lo storico casato di mafia e ed alcuni esponenti siciliani e pugliesi. Nel corso del racconto, però, la sua attenzione si è focalizzata anche su un episodio piuttosto indicativo.
I poliziotti infedeli
«Quanto al rapporto con le forze dell’ordine – spiega Moio – c’erano due poliziotti che abitavano vicino casa mia e ai quali dovevo far assumere il cognato in una ditta. Poi ricordo che entrò o alla Leonia o alla Multiservizi». Per il collaboratore «c’erano scambi di favori». Ma chi era dei Tegano a tenere tali rapporti? «Era Pasquale Tegano, ma anche tramite i Frascati, Nino Frascati. Questi ha anche dei parenti poliziotti che davano dritte». Ed è in questo momento che viene narrato l’episodio che riguarda Giovanni Tegano. «Ci fu un mancato arresto di Tegano, quando stava a casa di Paolo Siciliano. Fu proprio lui a dirmelo. Loro erano a conoscenza del blitz. Lì Tegano fece la sua latitanza fino al 2009». Chi informò il boss dell’imminente blitz? «Frascati aveva i suoi informatori; i Libri anche, così come noi ne avevamo alcuni. In cambio c’erano lavori di edilizia o soldi». Il pentito ricorda come anche lui spesso dormì fuori casa «quando avevo notizie di blitz. Il messaggio arrivava dai Frascati o dai Libri».
Al Miramare senza documenti
E, proprio nel solco di tali dichiarazioni, si pone il racconto di un summit di mafia avvenuto a casa Tegano. «Presi parte al summit – spiega Moio – e lì conobbi Salvatore Annacondia». Quest’ultimo è un collaboratore di giustizia di origine pugliese che ha fatto dichiarazioni in merito alle stragi di mafia degli anni ’90. Annacondia racconta di quando Brusca gli disse che gli attentati a Falcone e Borsellino erano un punto di non ritorno e che non ci si sarebbe più potuti fermare. Ora, il collaboratore Moio colloca Annacondia a Reggio Calabria nei primi anni ’90 in casa della famiglia Tegano. «Era un personaggio importante – spiega Moio – aveva un ottimo rapporto con i Tegano che gli aprirono la strada, insieme a Mimmo Paviglianiti, sulle piazze della dorga di Torino e Milano». Sia Annacondia che qualche altro siciliano si recavano spesso a Reggio Calabria. «Alloggiavano all’Hotel Miramare, senza bisogno di alcuna registrazione e quindi documenti». Ma perché – chiede il pm – potevano fare così? «Perché Montesano – all’epoca nella compagine societaria del Miramare, ndr – era un intimo amico nostro e ci faceva questa cortesia». Un rapporto di conoscenza, quello dell’imprenditore Carlo Montesano, ribadito anche dal successivo teste, Annalisa Zannino, della Polizia di Stato, la quale spiega i rapporti diretti fra Montesano e Pino Rechichi, ex direttore operativo di Multiservizi, poi arrestato e condannato per mafia. «Quando Rechichi viene arrestato, parla con il fratello Rosario – rimarca la Zannino – e veicola messaggi diretti a Carlo Montesano per un recupero di crediti». Montesano, infatti, era proprietario di una catena di supermercati, la Gdm, ed uno di questi aveva sede di un immobile di Rechichi.
Il summit interrotto… senza conseguenze
Ma, tornando al summit mafioso di cui parla Moio, si evince che lo stesso fu interrotto da un summit delle forze di polizia. Moio non ricorda bene se si trattasse di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza o Dia. Ma ricorda che fu lui, involontariamente a condurli lì. «Ci seguirono con l’auto e, siccome per entrare dentro casa Tegano c’era un portone blindato che si muoveva lentamente, loro approfittarono del nostro ingresso per entrare in casa». Dentro, secondo Moio, c’erano esponenti del calibro di Pasquale Tegano, Mico Paviglianiti, Carmelo Barbaro, Salvatore Annacondia e Peppe De Marzo. «Quelli che venivano da fuori riuscirono a fuggire, quelli che abitavano ad Archi rimasero». Ma il summit, sebbene interrotto, ebbe un epilogo strano: «Queste forze dell’ordine chiesero cosa facessimo lì, ma non registrarono nessun documento. Ricordo che i Tegano erano soddisfatti di come era andata la cosa». L’interrogativo è: perché delle forze di polizia, in borghese, fanno irruzione all’interno della casa della cosca Tegano e poi non verbalizzano nulla per lasciare traccia? C’è qualche collegamento con ciò che Moio dice relativamente ai rapporti della cosca con appartenenti alle forze di polizia?
Rapporti con siciliani
Dopo aver ricordato la presenza anche dell’avvocato Giorgio De Stefano a riunioni a casa dei Tegano, Moio ricorda il rapporto della cosca di Archi con Nitto Santapaola, rimarcando come vi fossero dei legami molto stretti. Fra i nomi citati anche quello di un tale Maugeri che andò diverse volte dalla Sicilia alla Calabria, alloggiando sempre al Miramare e rimanendo per lungo tempo all’Oasi. Al contrario, dalla Calabria alla Sicilia, c’era un personaggio reggino che si muoveva ed era, secondo la ricostruzione di Moio, tale Enzo Panuccio, personaggio che, come ricordato dal teste Zannino, «fu fermato una volta alla guida di un’auto blindata con al suo fianco l’avvocato Giorgio De Stefano». Sempre con riferimento all’avvocato De Stefano, l’ispettore Zannino, ricorda che Gino Molinetti alias “la belva” viene definito da più collaboratori di giustizia, fra cui Barreca, come «un fedelissimo di Giorgio De Stefano».
La fine della guerra
Moio, però, fu anche testimone oculare del summit con cui si concluse la seconda guerra di ‘ndrangheta. «Dopo la morte di Mimmo Tegano, ci fu un incontro nella zona di Sant’Antonio. C’erano Giovanni Tegano, Pasquale Tegano, Franco Giordano, Franco Pellicano, Polimeni, Paolo Schimizzi, Emilio Firriolo, Angelo Benestare. Eravamo tutti armati. Dall’altra parte c’erano Bruno Tegano, cognato di Mico Condello, Pasquale Condello ed altre persone che poi si sono allontanate. In quell’occasione si siglò la pace».