L'inchiesta che ha portato all'arresto dei fiancheggiatori del latitante Leonardo Abbruzzese ricostruisce anche la storia della criminalità di etnia rom in provincia di Cosenza, ripercorrendo le tappe principali degli eventi che l'hanno portata a diventare egemone nella Sibaritide. Si tratta di un'epopea oscura, scandita dal sangue, e a cui non è stato ancora associato il capitolo finale. Ecco come la Dda di Catanzaro sintetizza quasi cinquant'anni di cronaca nera sulla costa jonica cosentina, gran parte dei quali vissuti sotto la stella dolente del clan degli zingari.

Le sette 'ndrine di don Peppe

La presenza della criminalità organizzata a Cassano all'Ionio e nei comuni limitrofi affonda le sue radici alla fine degli anni Settanta e coincide con l'arrivo a Sibari dell'imprenditore salernitano Giuseppe Cirillo, conosciuto da tutti come "Don Peppino", che per primo crea i presupposti per quella che poi sarà la 'ndrangheta cassanese. Grazie anche ai suoi contatti con cosche dell'area cirotana, a cui i gruppi della fascia jonica della provincia cosentina dovranno sempre rendere conto, Cirillo fonda il locale di Sibari, al quale fanno capo - secondo una struttura di tipo tradizionale - sette 'ndrine. I rispettivi capi ed i paesi di provenienza che danno vita a questa sorta di confederazione del crimine sono considerati i pionieri della 'ndrangheta sibarita: Francesco Elia per Cassano all'ionio, Leonardo Portoraro per Francavilla Marittima, Saverio Magliari per Altomonte, Antonio Recchia per Castrovillari, Antonio Calabrese per Saracena, Pasquale Tripodoro per Rossano ed Emanuele Bommentre per San Lorenzo del Vallo.

L'ascesa di Santo Carelli

Don Peppe poteva vantare anche stretti legami con personaggi di spicco del Reggino e della Camorra, oltre che con la nascente criminalità organizzata cosentina. Il suo potere dura più di un decennio: il momento che segna l'inizio della fine del suo impero criminale coincide con l'omicidio del cognato Mario Mirabile, avvenuto il 31 agosto del 1990. Difatti, Cirillo è spedito in soggiorno obbligato ad Ancona e lascia la reggenza della cosca a sua moglie Maria Luigia Albano, detta “Donna Gina”; quest'ultima sarà poi sostituita dal medesimo boss che al suo posto pone Mirabile. In quel contesto, cresce l'insoddisfazione di Santo Carelli alias “Santullo il Grande”, capo della fazione coriglianese, che, dopo aver eliminato Mirabile, si pone ed è riconosciuto alla guida di tutto il crimine organizzato della zona: è la nascita del locale di Corigliano, che soppianta Sibari quale centro principali degli affari illeciti.

Il sangue comincia a scorrere

Rispetto al suo predecessore, Carelli concede maggiore autonomia ai vari gruppi e pretende la propria fetta di guadagno solamente per gli affari di maggiore entità. Tuttavia, sotto la sua direzione si consumano diversi omicidi, che colpiscono coloro che si mostrano insofferenti al suo potere e che non si riconoscono nel nuovo ordine; tra questi Antonio Giovannone De Cicco, Gaspare Filocamo, Antonio Russo e Luigi Lanzillotta. La nascita della 'ndrangheta sibarita, l'affermazione di Cirillo, la successiva guerra contro Carelli e il conseguente cambio al vertice, sono i temi del processo "Galassia", in cui è notevole il contributo dato da numerosi collaboratori di giustizia, tra i quali spicca lo stesso Don Peppe. Ed è proprio durante il "regno" di Carelli - arrestato nel 1993, condannato all'ergastolo e deceduto nel 2016 - che gli zingari cominciano a interfacciarsi con la criminalità organizzata. 

Arrivano gli zingari

I principali esponenti della delinquenza di origine rom appartengono alla famiglia Abbruzzese, proveniente da Cosenza e stanziatasi nel comune di Cassano verso la fine degli anni Settanta. All'epoca gli zingari sono dediti prevalentemente al commercio di cavalli e alla commissione di furti; Santo Carelli ne sfrutta quindi le indubbie capacità criminali, in maniera analoga a quanto fatto a Cosenza dalla cosca guidata da Franco Pino, di cui fanno parte Fiore Bevilacqua alias "Mano mozza" e soprattutto Fioravante Abbruzzese detto "Banana". D'altronde, il legame con la città di Cosenza sarà sempre una costante, proprio per la presenza di cugini e parenti vari che finiranno per accrescere il proprio status fino a essere accettati dagli "italiani" quali veri e propri 'ndranghetisti.

Da "Asso di Bastoni" a "Tripolino"

Il fratello maggiore di Fioravante “Banana” è Celestino Abbruzzese alias "Asso di bastoni", noto anche come "Ciccio u zingaro". È lui che origina il ceppo che riporterà Cassano al centro del crimine organizzato, scalzando Corigliano dalla sua posizione verticistica. Non a caso, a seguito del già citato processo "Galassia", nonché di ulteriori inchieste quali "Big Fire" e "Set up", che colpiscono principalmente i coriglianesi, gli Abbruzzese approfittano del vuoto di potere venutosi a creare per farsi largo sul territorio. Non si impongono con l'arma della diplomazia, ma eliminando chiunque ostacoli la loro ascesa. Pertanto, a partire dal 1999, gli zingari compiono il definitivo salto di qualità che, da delinquenti comuni, li porta a entrare di diritto nella 'ndrangheta: sono finalmente riconosciuti dai cirotani, che però individuano formalmente come capo del clan un uomo che non ha sangue di origine nomade, vale a dire Damiano Pepe alias "Tripolino".

Una locale di 'ndrangheta a Cassano

Quest'ultimo appartiene ai vincitori della lotta che ha visto contrapposti militarmente gli schieramenti di Cirillo e Carelli. In realtà, dapprima era con Cirillo, ma decide poi di passare con i coriglianesi; difatti, è per conto di questi ultimi che, nel 1992, commette l'omicidio di Lanzillotta, guadagnando una posizione di vertice nello scacchiere criminale dell'epoca. Così, nella seconda metà degli anni Novanta, con i maggiori esponenti del locale di Corigliano ormai fuori dai giochi perché uccisi o ristretti, Pepe e Francesco Abbruzzese alias "Dentuzzo", il figlio di Celestino, comandano il nuovo gruppo, la cui consacrazione coincide con la nascita del locale di Cassano all'Ionio. Nel 1998 Pepe finisce in cella e ad agire sul territorio, quale capo, vi è solo “Dentuzzo”, che inizia l'opera di espansione degli zingari principalmente nel settore degli stupefacenti. 

L'eliminazione della vecchia guardia

Parallelamente, inaugura la stagione degli omicidi di tutti gli avversari scomodi, di cui fanno parte quelli che sono rimasti fedeli ai vecchi boss o che comunque rappresentano una minaccia per l'egemonia della sua famiglia. Il 6 gennaio 1999, nel centro abitato di Lauropoli, si consuma così il duplice omicidio di Giuseppe Cristaldi e Biagio Nucerito. Il primo dei due è considerato espressione del vecchio gruppo Portoraro-Faillace, ha subito una condanna nel processo "Galassia" quale membro del clan Cirillo e, tornato in libertà, ha tentato di organizzare autonomamente la propria attività di narcotraffico. A seguire, il 14 giugno 1999, si registra il tentato omicidio di Antonello Esposito, anche questi un tempo legato a Cirillo e Portoraro e di conseguenza avverso ad Antonio Di Dieco che, alleatosi con gli zingari, ambisce a essere il referente per Castrovillari.

Sulla scena irrompe "Occhi di ghiaccio"

A distanza di poco più di due settimane, il 1° luglio 1999, tocca ad Giovanbattista Atene, altro uomo considerato vicino a Portoraro e potenzialmente pericoloso per gli zingari. Dopo ulteriori due settimane, il 15 luglio 1999, a Cassano rimane vittima di un agguato mafioso Giuseppe Romeo, altro personaggio legato alla vecchia criminalità organizzata e tornato da poco in libertà. Il 27 luglio 1999 tocca invece ad Antonio Forastefano soprannominato "U zuoppu", che a Marina di Sibari cade sotto i colpi di Nicola Acri alias “Occhi di ghiaccio", killer della cosca e fedelissimo di "Dentuzzo", nonché nuovo capo della 'ndrina di Rossano.

Politica stragista

La politica stragista degli zingari non si ferma, tanto che nell'anno seguente, il 2000, nell’ambito della lotta per il dominio di Castrovillari si registra l’omicidio di Antonio Viola e, nel 2001, quelli di Francesco Cosentino (ex gruppo Portoraro) e di Vincenzo Bloise (personaggio dedito a estorsioni e stupefacenti). Al pari dei loro predecessori, anche loro pagano per non essersi sottomessi al potere degli zingari. Nell'ottica di questa spietata politica, non mancano le epurazioni interne, ossia l'eliminazione anche di uomini facenti parte della cosca, ma che si sono macchiati di colpe che possono essere punite solo con la morte: è il caso di Giovanni Russo e Salvatore Di Cicco, quest'ultimo vittima di lupara bianca. 

I rapporti tra zingari e clan di Cosenza

Per quel che concerne gli affari, gli zingari riescono a monopolizzare l'offerta di stupefacenti e stringono rapporti con le cosche cosentine, anche queste in fase di "ristrutturazione" dopo il terremoto provocato dal processo "Garden" che ha messo il punto definitivo alla storia dei gruppi Pino-Sena e Perna-Pranno. In città, terminata la guerra tra le suddette fazioni, in seguito colpite dall'opera incisiva dell'Autorità giudiziaria, i nuovi padroni sono Ettore Lanzino quale espressione del vecchio gruppo Pino e Domenico Cicero come superstite del gruppo Perna. A riferire sui rapporti tra questi ultimi e gli Abbruzzese di Lauropoli, è Francesco Bevilacqua alias "Franchino 'i Mafarda", ex capo degli zingari cosentini che nel 2001 diventa collaboratore di giustizia e svela, tra le altre cose, gli schieramenti venutisi a creare sull'asse Cosenza-Cassano: zingari e Lanzino sono alleati contro il vecchio gruppo Portoraro-Faillace rinforzato dall'emergente clan Bruni "Bella bella".

Due nuovi boss

In questo scenario matura, ad esempio, il cruento omicidio di Primiano Chiarello, rapinatore cosentino vicino alla cosca Bruni che - per tale motivo - nel 1999, dopo essere stato attirato in un tranello, è ucciso da Francesco Abbruzzese, Nicola Acri e Franchino i Mafarda. Intanto, a dicembre del 2000, lo stesso Francesco Abbruzzese finisce dietro le sbatte e, pertanto, alla guida della cosca subentrano i fratelli dei capi: Eduardo Pepe e Fioravante Abbruzzese detto “Fiore”.

Sangue chiama sangue

I due luogotenenti portano avanti la linea dei fondatori, provvedendo alla commissione di diversi omicidi, il più importante dei quali avviene il 26 marzo 2002. In tale data, sulla Ss 106, sono assassinati a colpi di kalashnikov Vincenzo Fabbricatore e Vincenzo Campana. Il primo è un altro uomo della "vecchia guardia", uscito da poco tempo dal carcere; non si rassegna all'idea che il locale è a Cassano e non più a Corigliano, ma soprattutto che a comandare siano gli zingari; di conseguenza paga con la vita tale presa di posizione. 

Comincia il declino

Il 2002, però, è anche l'anno in cui inizia un periodo di declino per gli zingari. Innanzitutto, per la prima volta subiscono un attacco frontale che li indebolisce notevolmente, poiché il 3 ottobre, a Ponte Nuovo, lungo strada che collega i centri abitati di Cassano e Lauropoli, cadono proprio Eduardo Pepe e Fioravante Abbruzzese. Per tale duplice omicidio sarà poi condannato solo Antonio Forastefano detto “Tonino il diavolo”, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia. La risposta non si fa attendere: il 24 ottobre 2002, nella frazione di Doria, si attenta alla vita di Vincenzo Forastefano che riesce a scampare all’agguato, mentre a morire è Francesco Salerno, presente sul posto e colpito per errore dal fuoco del kalashnikov.

L'uccisione del "Capitano"

E non solo. Il 3 novembre 2002, a distanza di un mese dall'omicidio di Pepe e Abbruzzese, gli zingari uccidono Carmine Pepe, di soli 16 anni e feriscono Sergio Benedetto, entrambi perché considerati responsabili di aver avuto un ruolo nella morte di Eduardo e Fiore. Dopo il tentato omicidio di Federico Faillace, avvenuto nel maggio del 2003, in data 8 giugno 2003 muore Nicola Abbruzzese alias "Capitano", fratello di Celestino Abbruzzese che, nel frattempo, era diventato il reggente della consorteria. Nicola Abbruzzese è freddato davanti alla caserma dei Carabinieri di Cassano, dove si recava per ottemperare all'obbligo di firma.

La Dda batte un colpo

Passano solo cinque giorni e gli zingari riescono nell'intento di assassinare Sergio Benedetto, ferendo contestualmente Rocco Milito, ma nell'azione rimane a terra anche Fioravante Madio, che fa parte del gruppo di fuoco ed è attinto da un proiettile che gli sarà fatale. Sempre nel 2003, arriva il momento dell'operazione "Lauro", con cui la Dda di Catanzaro colpisce duramente il clan degli zingari. L’inchiesta rappresenta una pietra miliare nella storia giudiziaria della Sibaritide poiché, per la prima volta, con la sentenza datata 10 aprile 2006, è riconosciuta l'esistenza del sodalizio criminale degli zingari di Cassano. 

I Forastefano al comando

Tali eventi non possono non influire sui rapporti di potere e, difatti, tra il 2004 e il 2007, gli zingari perdono il primato sulla gestione degli affari illeciti che passa nelle mani dei Forastefano. Quest'ultimi hanno avuto un'evoluzione simile a quella dei loro antagonisti, che li ha visti passare da rapinatori a uomini d'onore, fino al completamento della scalata criminale, culminata con il controllo delle principali attività illecite a metà degli anni 2000. Quando, infatti, nell'estate del 2007 scatta l'operazione "Omnia", emerge tutto il potere che nel tempo avevano accumulato i Forastefano, tanto da essere in qualche modo considerati vincitori della faida che li aveva visti contrapposti agli Abbruzzese.

Da "Omnia" a "Timpone rosso"

Guidati da “Tonino il diavolo”, gli stessi detengono la fetta principale del mercato degli stupefacenti, impongono il pizzo alle imprese, praticano l'usura, gestiscono l'immigrazione clandestina e mettono in atto truffe legate al settore dell'agricoltura per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Il processo "Omnia" arriverà a conclusione nel 2013 con pesanti condanne per i membri dell'organizzazione. A distanza di due anni, una nuova indagine infligge un altro colpo agli zingari: nel 2009 scatta l'operazione "Timpone rosso" che si regge sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, in particolare di Pasquale Perciaccante alias "Cataruozzolo".

I pentiti

Quest'ultimo non ha origini rom, ma ha vissuto a stretto contatto con gli zingari e, pertanto, è a tutti gli effetti un appartenente alla loro organizzazione. La sua testimonianza e quelle di altri collaboratori come Vincenzo Curato, Carmine Alfano e Domenico Falbo, si rivelano preziose per far luce su diversi omicidi consumati tra il 1999 e il 2002. Tali dichiarazioni rappresentano una novità assoluta perché consentono di venire a conoscenza, dall'interno, di particolari della storia degli zingari che altrimenti non sarebbero mai affiorati. Resiste, invece, il primato, per gli Abbruzzese di Cassano, di non aver "generato" alcun collaboratore di giustizia. 

L'entrata in scena di Luigi Abbruzzese

Gli anni successivi segnano una tregua nello scontro armato tra zingari e Forastefano, rotta dall'omicidio di Federico Faillace, avvenuto a Spezzano Albanese nel 2009. Sono gli anni in cui i due clan, duramente colpiti dai relativi processi, tentano faticosamente di riorganizzarsi. Sarà necessario attendere fino al 2015 per un nuovo attacco giudiziario con l'esecuzione dei fermi emessi dalla Dda che danno luogo all'operazione "Gentlemen". Il tema è il narcotraffico internazionale messo in piedi tra Cassano e la Puglia con canali di rifornimento da Albania, Nord Europa e Sudamerica. Ora, a guidare l'organizzazione ci sono Luigi Abbruzzese, il figlio di "Dentuzzo", e Filippo Solimando, già esponente del locale di Corigliano fin dagli anni Novanta.

Il grande massacro

Pur non essendo riconosciuta l'associazione mafiosa, l'inchiesta vede comunque condannato a venti anni di reclusione, Luigi Abbruzzese quale capo dell'organizzazione dedita al narcotraffico. Il giovane boss, dopo più di tre anni di latitanza, sarà arrestato ad agosto del 2018 dalla Squadra Mobile di Cosenza. Tra gli eventi più lugubri, c’è poi il triplice omicidio del gennaio 2014 in cui perdono la vita - uccisi e poi bruciati - Giuseppe Iannicelli, Ibtissam Touss e Nicola Campolongo “Cocò” di tre anni e mezzo. La triste vicenda scuote la Calabria e tutta l'Italia, tanto da indurre Papa Francesco, pochi mesi dopo, a recarsi a Sibari.

Ultime condanne

Iannicelli era un pregiudicato cassanese dedito alla vendita di stupefacenti, storicamente vicino agli zingari, ma che all'occorrenza non disdegnava di rifornirsi dai Forastefano. Per il delitto saranno condannati all'ergastolo Cosimo Donato alias "Topo" e Faustino Campilongo detto “Panzetta”, due spacciatori di Firmo che lavoravano essenzialmente con Iannicelli. Sono riconosciuti colpevoli di avergli dato un appuntamento, attirandolo così nella trappola che consente ai killer, rimasti ignoti, di portare a termine il loro compito.