«La ‘ndrangheta può capirla solo chi l’ha subita», dice Martino Ceravolo. La ‘ndrangheta a lui strappò il cuore e lo fece a pezzi. Era la sera del 25 ottobre 2012. Lungo la strada che collega Vazzano a Pizzoni, un agguato. I sicari - un commando del clan Loielo - spararono alla cieca e uccisero chi con la loro guerra non c’entrava nulla. Il vero bersaglio, Domenico Tassone, luogotenente del boss di Gerocarne Bruno Emanuele, rimase illeso. Perse la vita, invece, massacrato sotto una pioggia di piombo, il giovane che era con lui. Aveva soli diciannove anni, si chiamava Filippo ed era il figlio di Martino, che quella sera aveva chiesto un passaggio per raggiungere la fidanzata. Filippo, una vittima innocente della ‘ndrangheta.

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Morire ogni giorno. «Gli assassini sono a piede libero»

Sono trascorsi più di undici anni da quella notte e anche nel 2023 Martino non ha smesso di chiedere giustizia e verità. «Undici anni di attesa, undici anni nei quali gli assassini sono rimasti a piede libero e mio figlio, subendo questa ulteriore ingiustizia, è stato ucciso di nuovo, ogni giorno», incalza Martino, che assieme ai suoi cari ha trasformato il dolore nella linfa di una battaglia per la verità ed il calore di quanti sono stati vicini a loro in un balsamo per la sofferenza: i ragazzi, i cittadini, ma anche i rappresentanti delle forze dell’ordine e della magistratura, il cui lavoro, finora, non ha prodotto i frutti sperati.

«Una legittima richiesta di risposte»

«La nostra – spiega papà Ceravolo – è una vita mutilata, a prescindere. Noi lo sappiamo che niente e nessuno ci restituirà Filippo, ma mio figlio merita che i suoi assassini siano arrestati, processati e condannati. E invece è passato tutto questo tempo. Abbiamo avuto solidarietà, della quale siamo certamente grati, ma allo Stato, oltre che impegno e solidarietà, chiediamo risultati. E mi dispiace perché qui, nelle Preserre, dopo tanto tempo, risultati concreti non ne abbiamo visti». Non un’accusa, né una provocazione – precisa – ma la «legittima richiesta di risposte» da una famiglia consapevole che «altrove i risultati sono stati ottenuti. Hanno arrestato Messina Denaro e tutti i latitanti più pericolosi, nel Vibonese hanno fatto cose magnifiche, ovunque, ma nelle Preserre no, perché “quelli là” sono sempre là a piede libero e non un bel segnale. Non ci sono solo tutti quei morti ammazzati, ma c’è anche mio figlio che con la ‘ndrangheta non c’entrava proprio niente».

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«Filippo vive in tutto quello che facciamo»

«La maggior parte delle vittime di mafia, soprattutto quelle innocenti – continua – non ha mai avuto giustizia. Molte famiglie si chiudono nel loro dolore e nel silenzio. Forse si rassegnano. Forse, perso un figlio, un genitore, un fratello o una sorella, perdono la voglia di vivere e di lottare. Le comprendiamo. Ma noi il dolore non lo nascondiamo e non stiamo in silenzio. Filippo è con noi, Filippo vive in tutto quello che facciamo, Filippo lo ricordiamo in ogni occasione utile nel migliore dei modi affinché tutti ne abbiano memoria come il simbolo di un’ingiustizia assurda».

«Vadano a prenderli»

Sa che nonostante il tempo trascorso, la Procura antimafia di Catanzaro e le forze dell’ordine hanno tanti elementi per chiudere il cerchio, finalmente. Forse. «Io ho letto le carte dell’archiviazione – dice Martino – e c’era già tanto. Poi sono venuti i pentiti. E allora mi domando e domando cosa aspettano per andarli a prendere? A questo punto si giochino le loro carte. C’è mio figlio che attende giustizia, ma ci sono anche degli assassini a piede libero che continuano a fare quello che vogliono, a vivere la loro vita e a rovinare quelle degli altri. Andateli li a prendere. Fate verità e giustizia. Perché se così non è avranno vinto loro».