«Suo padre è un amico, mio nipote è un amico… Hanno fatto trent’anni di carcere, suo padre nel paese suo è uno… Ha il rispetto suo, è stato arrestato nell’operazione Crimine…». Un escavatore come quello poteva essere stato rubato solo da gente che non era del posto: quelli della «Jonica», in pratica, non l’avrebbero mai toccato. I topi da cantiere, così, sarebbero arrivati da fuori: «Vedi che stiamo girando “mancu li cani”, cioè, figurati, ora ora eravamo a Rosarno…».

Il potere di uno spyware

Gireranno a lungo, scenderanno da Isca sullo Ionio, nel Catanzarese, teatro del furto, verso la Vallata dello Stilaro, quindi la Locride e via, tagliando la Calabria, verso la Piana di Gioia Tauro, ma la tappa finale sarebbe stata la provincia Vibo Valentia, dove esisterebbe – secondo l’intercettato, il titolare di un frantoio nel territorio di Rizziconi ben ammanicato con la criminalità organizzata – una sorta di terminal di mezzi rubati, destinati ad essere venduti all’estero. Ciò che lo spyware inoculato dai carabinieri del Ros capta, finisce agli atti dell’indagine “Hybris”, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che ha tranciato nuovi rami del potentissimo clan Piromalli di Gioia Tauro. Gli inquirenti la definiscono «una conversazione di estremo interesse».

L’imprenditore in odor di mafia parla come uno sgamato e non sospetta di essere intercettato. Dice al suo interlocutore di aver messo in moto le sue conoscenze: «Ci sono due o tre che li mandano all’estero e là stiamo andando… Uno è partito per andare… Che c’è uno a Vibo che manda all’estero». E poi: «Li mandano all’estero con i container subito… A Malta dice che li stanno mandando… Dice che stanno andando all’estero… Uno è andato ora a Vibo, com’eravamo qua che è partito un rosarnese per andare…».

L’indagine della… ‘ndrangheta

L’indagine della malavita sul mezzo pesante rubato si rivela efficace, intanto nell’individuare l’autore del furto, un giovane sì di Caulonia, quindi della Jonica, ma definito dagli inquirenti «vicino agli ambienti della comunità rom di Gioia Tauro». A quel punto non è più importante che fine abbia fatto l’escavatore, se sia stato rivenduto o finito sul mercato clandestino Italia-estero. La mala – che prima pensa una mediazione con i rom di Gioia ma anche un agguato al ladro – alla fine decide di prendere il padre del topo da cantiere, portarlo ad un concessionario di mezzi pesanti e farsi acquistare un escavatore nuovo, a titolo di risarcimento per il furto subito.

«Oggi lo hanno portato al concessionario direttamente al padre – capta il Ros di Reggio Calabria – per fargli scegliere un escavatore nuovo e glielo compra il padre. Non vogliono restituirglielo? Non ci fa niente… E paghi l'escavatore nuovo, gli fai l'assegno, gli fai le cambiali, gli fai quello che vuoi». Il padre giura che il figlio non sia stato consapevole della proprietà del mezzo, ma questo non lo sgravò degli obblighi: prima di toccare qualcosa, infatti, avrebbe dovuto informarsi quali piedi avrebbe pestato.

«C’è uno di Ricadi…»

E il terminal di mezzi rubati che esisterebbe nel Vibonese? Gli inquirenti, ascoltando le conversazioni dell’imprenditore dell’olio monitorato, imboccano una pista: conduce proprio ad un imprenditore del Vibonese, già implicato in diverse vicende giudiziarie afferenti la criminalità organizzata. Con interessi nell’edilizia, ovviamente di camion, escavatori e quant’altro ne capisce. In passato taglieggiato, un po’ vittima e un po’ complice, sarebbe stato «addentrato nei circuiti clandestini che permettevano l’alienazione dei mezzi rubati all’estero».

Dice l’uomo con lo spyware nel telefonino: «A me mi hanno detto che c’è uno di Ricadi che la strada per mandarli fuori…». E nella conversazione viene fuori il nome e fatti specifici. I carabinieri ci mettono poco ad identificare il tipo in questione, «soggetto gravato da svariati precedenti di polizia, in particolar modo afferenti i reati predatori aventi ad obiettivo i mezzi da cantiere»: si tratta di Paolo Ripepi. Uno che, in passato, denunciò perfino diversi episodi criminosi ai suoi danni da parte della malavita organizzata, ma che alla fine, tra la denuncia e la ‘ndrangheta - raccontano le vecchie carte giudiziarie – scelse la ‘ndrangheta.

Da “Hybris” a “Olimpo”

Che Paolo Ripepi avesse in qualche modo le mani in pasta nel traffico di mezzi pesanti rubati emerge con evidenza in un’altra imponente indagine che parallelamente la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, stavolta con il Servizio centrale operativo e le Squadre mobili di Catanzaro e Vibo Valentia, stava sviluppando nel suo distretto lungo la Costa degli dei: Olimpo. I poliziotti monitorano le conversazioni dell’imprenditore di Ricadi e lo beccano a pianificare appuntamento con un autotrasportatore di origini e con residenza - interessante coincidenza – a Malta.

Fanno di più, gli agenti: siamo nel 2018, pedinano il mezzo e, in prossimità dello svincolo di Rosarno, chiedono un intervento della Polstrada per non destare sospetti: nel rimorchio un escavatore senza targa, due mini-pale meccaniche, di cui una con l’ultimo numero del telaio illeggibile. Il documento di traporto esibito dal conducente era stato emesso da una società (fallita) residente a Milano: il carico era destinato a Malta. Gli accertamenti successivi dimostreranno che i tre mezzi erano stati rubati: l’escavatore e una delle due mini-pale a Marcellinara (Catanzaro), la seconda mini-pala meccanica a Bianco (Reggio Calabria).