La figlia del 65enne deceduto all'Annunziata di Cosenza racconta il calvario che ha vissuto l'uomo prima di cedere alla malattia sopraggiunta quando ormai il pericolo sembrava passato
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Castrovillari registra la sua prima vittima del Covid 19. È un sessantacinquenne da tredici giorni ricoverato presso l'ospedale dell'Annunziata di Cosenza dove era arrivato nella notte del 18 novembre in seguito all'aggravarsi del suo quadro clinico legato alla posività scoperta a pochi giorni dalle dimissioni dalla struttura ospedaliera riabilitativa di Mormanno dove era ricoverato dai primi di ottobre. Era arrivato nel presidio sanitario della città del Pollino, oggi oggetto di focolaio denunciato dalla Funzione Pubblica della Cgil, dopo un intervento chirurgico all'anca presso l'ospedale di Paola il 6 ottobre scorso. Li era rimasto circa dieci giorni prima di essere dimesso con l'esito di tampone negativo per arrivare nel centro riabilitativo del Capt di Mormanno per la terapia utile al suo rientro a casa. Un calvario ospedaliero durato quasi trenta giorni, dal suo primo ricovero in ospedale fino al decesso odierno. Nel mezzo il percorso che ha portato l'uomo al primo intervento, alla necessaria riabilitazione post operatoria, alla scoperta della positività fino alla corsa disperata in ospedale a Cosenza dove era dapprima ricoverato in terapia intensiva e poi intubato per l'aggravarsi della sua condizione.
Nei giorni scorsi la figlia, l'unica della famiglia a non essere risultata positiva, ci aveva raccontato la vicenda del padre e la «tanta paura» per lo stato di salute dell'uomo, unita all'ansia per la madre malata oncologica rimasta sola in casa, e per la positività della figlia undicenne, del nipote e della sorella, tutti contagiati «nonostante le precauzioni adottate» dopo le dimissioni del padre.
L'operazione all'anca
La loro storia era iniziata il 6 ottobre dall’ospedale di Paola quando il padre ha richiesto l'accesso alla struttura ospedaliera per un intervento all'anca. Dopo il ricovero prima del trasferimento a Mormanno presso l’ospedale per la riabilitazione post operatoria effettua un tampone per accertare la sua negatività. Li resterà venti giorni prima delle dimissioni il 6 novembre. A pochi giorni dalle dimissioni l'uomo, attraverso un tampone effettuato in un laboratorio privato, scopre di essere positivo. La famiglia sprofonda in «un incubo». Tutto il nucleo familiare effettua i controlli del caso che restituiscono la positività sui due nipoti e una delle figlie. Dopo i primi giorni di apparente calma però il quadro clinico muta rapidamente. È il 13 novembre quando l'uomo accusa i primi sintomi: una tosse molto forte. Poi cinque giorni dopo l'uomo si sente male nuovamente. Il 118 che arriva al suo domicilio consiglia l'uso dell'ossigeno.
La situazione precipita
Inizia la terapia a casa ma giovedì notte la situazione precipita. I valori dell’ossigenazione arrivano a 33 e l’uomo collassa nel tentativo di andare in bagno aiutato dalla moglie mentre è in video chiamata con le figlie alle quali chiedono aiuto. La figlia allerta il 118 con una doppia chiamata per l’impossibilità di prestare soccorso visto che non può accedere al domicilio dei genitori in quanto confinata in casa dalla quarantena imposta per la positività della bambina di 11 anni.
La corsa a Cosenza in autombulanza dove rimane nella tenda dell’ospedale dalla quale richiama più volte dicendo «che aveva freddo e cercava aiuto», racconta con strazio la figlia. «Riportami a casa», chiede al telefono prima di essere trasferito in reparto. Inizia la terapia con il casco e sembra rispondere bene alle prime cure. Poi il nuovo tracollo con le condizioni che si aggravano e costringono i sanitari ad intubarlo e sedarlo, fino al decesso di oggi. Nel mezzo giorni di messaggi sul telefono muto del padre «sperando che un giorno li leggerà». Una speranza che oggi si è infranta davanti alla notizia del decesso nel reparto di rianimazione dell'Annunziata. Ma che ora ha bisogno di accertare la verità sull'inizio del contagio da Covid dopo giorni di ricovero ospedaliero.