La strage dei migranti a largo della costa crotonese ha segnato per sempre la nostra regione. Ma gli ultimi 12 mesi verranno ricordati anche per l'omicidio Romeo e per il tributo di sangue pagato all'inadeguatezza delle nostre infrastrutture. Aspettando il Ponte sullo Stretto
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Omicidi inspiegabili tra i boschi, ponti che vengono giù come castelli di carte, intere famiglie divorate dall’inadeguatezza delle nostre strade, femminicidi, perfino un incidente gravissimo (e con due vittime) tra un camion e quello che resta dei treni sulla fatiscente linea jonica. L’anno che si sta chiudendo si è colorato di tutte le sfumature della cronaca nera.
Fatti gravissimi che hanno segnato lutti e colpito intere comunità ma che passano però quasi in secondo piano rispetto al naufragio di Cutro: una strage, la più grande mai registrata sulle coste calabresi terminali della “rotta turca”, che ha riportato sotto i riflettori la drammatica quotidianità degli sbarchi sulle nostre coste. Quel giorno, il 26 febbraio, una domenica come tante, una carretta del mare carica di 180 persone, andò a sbattere su una secca al largo della spiaggia di Steccato di Cutro. Almeno 90 le vittime, tantissimi i bambini: tutti annegati o morti per ipotermia, a due passi dalla salvezza. Furono i pescatori della zona a dare l’allarme quando il mare in tempesta aveva iniziato a risputare i corpi dei cadaveri sulla battigia. A raccontare i primi terribili minuti di quella notte di morte furono due carabinieri, i primi ad arrivare sul posto: nel verbale di intervento descrissero l’apocalisse del naufragio. Si gettarono in mare, raccogliendo i vivi e i morti: rimasero gli unici sul campo per tanto, troppo tempo. La sfilata di cordoglio e rabbia dell’intera città di Crotone (con i fischi e gli insulti al ministro dell’Interno e gli applausi rivolti al dignitoso silenzio del presidente Mattarella), accorsa all’esterno del palazzetto cittadino trasformato in camera mortuaria, resta una delle pagine più intense dell’anno appena concluso. Così come il lancio dei peluche (simbolo dei bambini morti in mare) che accolse il Governo nella blindatissima Cutro teatro, suo malgrado, di un Consiglio dei ministri in trasferta.
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Il 2023 resterà agli annali per il tributo di sangue che i calabresi hanno pagato all’inadeguatezza delle nostre strade e delle nostre ferrovie. Come a Corigliano Rossano, storia di un mese fa, quando una littorina a gasolio investì un camion rimasto bloccato all’interno di un passaggio a livello. Un incidente dai tratti surreali, che è costato la vita al conducente del mezzo Said Hannaoui di 24 anni e alla capotreno delle Ferrovie Maria Pansini di 61 anni. Un incidente tremendo su cui l’esame della scatola nera recuperata dai rottami del treno potrà fare chiarezza.
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E se i treni calabresi, soprattutto sulla linea jonica, si muovono su tracciati inadeguati e pericolosi, le nostre strade, soprattutto quelle interne, si snodano su tracciati pensati e realizzati all’inizio del secolo scorso. Con tutte le conseguenze del caso. Come a Careri, nel Reggino, quando, è il 16 giugno, un’intera famiglia perde la vita a seguito di un’uscita di strada favorita da un asfalto più che rattoppato e dalla pressoché totale assenza di misure passive di sicurezza. Quel giorno a perdere la vita furono Caterina Pipicella, di 39 anni e i suoi due figli Giovanni e Giusy, due bambini di 10 e 13 anni. Una tragedia assurda, avvenuta su una vecchia provinciale che negli anni ha visto moltiplicarsi il numero delle croci a bordo strada. E ancora a Melicucco, sempre nel Reggino, un paio di mesi più tardi. In quella occasione fu uno scontro terrificante tra due auto sulla Jonio-Tirreno. Morirono in tre: Antonella Teramo, di 37 anni e la sua bambina Maya, di appena 4 che tornavano da una gita alle cascate di Bivongi verso San Calogero, nel Vibonese, e Domenico Politi (39) che era alla guida dell’altra auto coinvolto nel sinistro. In quell’incidente era rimasta gravemente ferita anche Valentina Crudo, giovane vocalist vibonese, che proprio nei giorni scorsi si è risvegliata dal coma ed ha potuto riabbracciare la sua famiglia.
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In attesa del ponte sullo Stretto che, dicono a spron battuto dai banchi del Governo, risolverà tutti i problemi di mobilità dei calabresi, il 2023 passerà alla storia come l’anno in cui cadono ponti appena costruiti e si sgretolano gallerie in perenne attesa di manutenzione. E se sulla Limina, il crollo dei calcinacci dalla volta del traforo che andrebbe ricostruita, non ha provocato (ancora) grossi disagi alla popolazione della Locride, diverso il caso di Longobucco. Qui, a cavallo tra la Sila Greca e il mare Jonio, nel maggio scorso è venuto giù il viadotto sul torrente Trionto che era stato costruito (male) appena nove anni prima. Un crollo che non provocò vittime solo grazie alla chiusura della strada disposta da Anas appena un’ora prima. Un disastro favorito dall’ingrossamento della fiumara e che ha di fatto segnato l’isolamento per le comunità della zona che il completamento di quella strada, lo sognano da più di mezzo secolo.
Ed era maggio, il 30, anche quando è morta Denise Galatà, una ragazza di 19 anni caduta nel fiume Lao durante una gita scolastica mentre faceva rafting con i compagni. Un giorno di felicità che in un attimo si è trasformato in un incubo. Un paradiso calabrese, le bellissime rapide del Lao, che ha mostrato il suo lato oscuro. Per 24 ore si è sperato che fosse solo ferita e aggrappata alla vita in qualche piega del fiume. Poi, la tragica scoperta dei sommozzatori dei vigili del fuoco che hanno trovato il suo corpo esanime.
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Tra i tanti fatti di sangue che hanno riguardato la nostra regione nell’ultimo anno, quello che ha fatto più scalpore è certamente l’omicidio di Francesca Romeo, responsabile della guardia medica di Santa Cristina d’Aspromonte. Era il 18 novembre quando la donna, accompagnata dal marito (a sua volta medico psichiatra in forza all’Asp di Reggio) fu colpita al volto da una rosa di pallettoni esplosa da distanza ravvicinata. L’agguato, che presenta tutti i tratti tipici dell’omicidio di mafia, era avvenuto sulla provinciale che collega la montagna al mare, poco dopo una curva a gomito che aveva costretto l’auto su cui viaggiavano gli sposi a rallentare fino quasi a passo d’uomo. Due i colpi esplosi dagli assassini che con tutta probabilità erano nascosti tra gli ulivi a bordo strada e che tra gli ulivi hanno guadagnato la fuga. Un omicidio su cui si fatica a trovare una spiegazione. Estranea agli ambienti della criminalità organizzata, la Romeo aveva appena finito il suo turno di lavoro (lavoro da cui sarebbe andata in pensione entro un paio di mesi) prima di trovare la morte tra le braccia del marito in una fredda domenica di novembre.