È un capo rispettato e temuto Umberto Bellocco. Quaranta anni ancora da compiere, il giovane presunto boss - coinvolto nella maxi inchiesta Blu notte che ha portato all'arresto di 63 persone - ha già passato più di dieci anni dietro le sbarre con condanne definitive per associazione mafiosa. Figlio di Giuseppe, è lui che dopo la carcerazione al 41 bis del padre ha preso le redini del clan gestendolo direttamente dal carcere, attraverso il tramite del cognato Benito Palaia, sua interfaccia operativa sul territorio.

A Rosarno lo chiamano “chiacchiera”, spiega il collaboratore di giustizia Vincenzo Albanese «in ragione della spavalderia che lo caratterizzava perché se commetteva tra rapine in fila lo diceva senza remore», ma in paese nessuno lo prende sottogamba. È lui che si occupa di intervenire quando qualcosa non quadra ed è lui, ipotizzano le indagini, che rimette in riga quegli affiliati che non rispettano le regole. «Di qua a tre mesi esce uno – racconta nel 2019 Palaia a un sodale, descrivendo il quadro che si verrà a creare nel caso, come sperano all’interno del clan, Bellocco dovesse davvero uscire di galera presto – mi pare che si possono chiudere tutti. Quello là esce dal carcere che è da 14 anni che è dentro… come questo esce alla prima virgola fuori posto vuole la guerra. Perché ragiona come 50 anni fa».

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Che si tratti di una controversia da gestire sul territorio romano, di un summit tra famiglie sull’orlo della faida o dei taglieggiamenti da imporre ai malcapitati agricoltori che hanno la sfortuna di avere la terra in quello che il boss considera il suo feudo di pertinenza, sarebbe statp Bellocco in prima persona, raccontano le indagini, a dettare la linea. Come nel caso di una lite tra membri del clan scoppiata a causa di una relazione extraconiugale. Rocco Stilo è considerato uomo molto vicino al reggente del clan e da tempo - scrivono gli inquirenti - ormai ha allacciato una relazione con la moglie di un altro esponente del crimine organizzato rosarnese. Nonostante gli inviti alla prudenza che Bellocco gli aveva veicolato attraverso Palaia, la situazione degenera presto e dopo una lite furiosa, il marito tradito (e pestato a sangue dallo stesso Stilo) si vendica incendiando l’auto del rivale. Sembra una piccola cosa, dietro cui però sembra nascondersi una minaccia all’autorità di Umberto “Chiacchiera”.

O almeno così la vede lo stesso Bellocco. L’autorizzazione all’incendio della Golf di Stilo sarebbe arrivata infatti dall’altro ramo del clan, quello che fa riferimento al cugino, Domenico Bellocco “u curtu”: «Appreso dell’incendio dell’auto dell’amico – scrive il gip nelle oltre 2 mila pagine di ordinanza d’arresto – Bellocco impartiva la disposizione… di ricomprare la macchina allo Stilo, facendo capire che per questa volta non avrebbe ordinato una contromossa violenta e che non accettava che venisse messa in discussione la sua leadership del gruppo».

È lui il capo, su questo punto suo cugino può farsene una ragione e quando i pezzi grossi usciranno dal carcere dovrà farsi definitivamente da parte: «Gli finisce presto l’America» scrive il presunto boss dal carcere ad un sodale. Un concetto, quello della direzione della cosca che Bellocco mette in chiaro anche con lo stesso parente: «Altrimenti fra un mese, fra due hanno ordini che come hanno messo fuoco loro, i miei devono mettere fuoco a tutto Rosarno… se ti sta bene cugino è così, se non ti sta bene prendi provvedimenti che sto mettendo mani pure a te, ci ammazziamo cugini i e cugini».