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Avrebbe compiuto quest’anno 43 anni il piccolo Giuseppe Bruno, vittima sacrificale della ‘ndrangheta morto tra le braccia del padre nel settembre 1974 quando aveva soltanto 18 mesi. Giuseppe è una delle anime innocenti coinvolte loro malgrado in una lotta tra cosche, la celebre ‘faida di Seminara’.
La dimostrazione che non è vero che la ‘ndrangheta i bambini non li tocca ma che, piuttosto, non esita a passarci sopra. Come quel giorno, l’11 settembre di 42 anni fa, quando la criminalità organizzata nostrana non ebbe dubbi a sparare al padre Alfonso proprio mentre teneva il piccolo sulle sue spalle percorrendo le scale per entrare in casa. I colpi arrivarono dritti alla testa del bambino. Un momento di tenerezza tra padre e figlio interrotto dal rumore assordante dei pallettoni della lupara.
Quell’episodio rientra nella faida iniziata pochi anni prima tra le due famiglie rivali dei Frisina-Pellegrino e dei Gioffrè. Una lotta che in soli tre anni aveva già portato al campo santo 16 persone.
Alfonso Bruno fu soccorso dalla moglie e da Iolanda Gioffrè, cugina di Vincenzo Domenico Gioffrè, soprannominato «Ringo», ex capo del clan Gioffrè. L’uomo era autista di camion e, secondo gli inquirenti, in passato aveva lavorato alle dipendenze della famiglia Gioffré.
E non bastò al padre del piccolo avere perso un figlio per salvarsi. Un mese dopo l’uomo veniva ucciso, del suo tributo di sangue la faida non poteva fare a meno. Tiziana Bagnato