I giudici della Cassazione confermano i 24 anni di carcere inferti in Corte d'assise d'appello nei confronti di Angelo Brogno che uccise Temenuchka Nedelchev
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La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Angelo Brogno, 84 anni, per l’omicidio di Temenuchka Nedelchev, sua badante, uccisa ad Acri nel luglio del 2016, al termine di una lite avvenuta nell’appartamento dell’imputato. Sia in primo che in secondo grado l’uomo era stato riconosciuto colpevole, rispettivamente dalla Corte d’Assise di Cosenza e dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro. La pena di 24 anni di carcere, inflitta dai giudici territoriali, ha retto anche dinanzi al giudizio degli ermellini, che hanno dichiarato inammissibile il ricorso. Nei giorni scorsi, quindi, sono state pubblicate le motivazioni che hanno ripercorso le fasi dell’efferato omicidio commesso nella città silana.
Delitto di Acri, la ricostruzione
Il fatto era avvenuto, nella tarda serata dell’8 luglio 2016, nella casa dell’imputato, situata ad Acri. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, la vittima era stata aggredita in cucina con plurime coltellate, di cui due avevano attinto l’addome, una il fianco sinistro, una l’inguine. La donna era quindi fuggita in esterno, si era accasciata in terra ed era morta. Il suo corpo mostrava graffi e ferite, attribuibili ad un’azione di difesa. In cucina erano state trovate ampie tracce di sangue, mentre il resto della casa si presentava in ordine. La cucina recava, inoltre, segni evidenti di colluttazione, nonché le impronte della vittima e dell’imputato; entrambi scalzi, per avere perso, nello scontro, le pantofole che indossavano, ritrovate nel medesimo ambiente.
Le orme dell’imputato erano riconoscibili dalla taglia del piede e dal disegno a strisce longitudinali, corrispondente alla trama dei calzini che Brogno vestiva all’arrivo dei soccorritori del servizio 118, giunti alle ore 3.15 del mattino seguente. Non erano presenti tracce o segni, riferibili a soggetti terzi. Sotto le unghie di Brogno erano rinvenute tracce del dna della badante e sui suoi vestiti tracce del sangue di lei.
All’esterno dell’abitazione erano stati ritrovati due coltelli, nessuno dei quali recava tracce dattiloscopiche utili, mentre tracce ematiche della vittima, oltre che dell’imputato, erano presenti sui manici. Le lame erano macchiate del solo sangue dell’uomo. L’imputato – che aveva telefonato al 118 a notevole distanza di tempo dal decesso, stimata in un intervallo compreso tra le tre e le cinque ore – presentava sul proprio corpo una serie di ferite ravvicinate, monodirezionali, all’addome, una sola delle quali di tipo profondo, che risulteranno, al riscontro medico-legale, auto-inferte.
Delitto di Acri, cosa sosteneva la difesa
La difesa di Angelo Brogno, assistito dall’avvocato Angelo Pugliese, ha contestato la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale, della decisione della Corte distrettuale di non procedere all’ispezione giudiziale della scena del crimine, secondo richiesta già avanzata al giudice di primo grado al termine dell’acquisizione dibattimentale delle prove, da esso non accolta e riproposta nei motivi di appello. Il mezzo istruttorio era ritenuto dal difensore di Angelo Brogno indispensabile per la verità processuale. La rappresentazione degli spazi, in cui il fatto si è verificato, risultante dalle fotografie in atti, sarebbe stato fuorviante per eccesso. Stante l’effettiva esiguità di tali spazi, sul luogo non sarebbero potuti intervenire i mezzi di soccorso e di polizia che vi giunsero, senza che essi si trovassero costretti, come in effetti accaduto, ad effettuare manovre nel piazzale antistante l’abitazione.