È stata confermata la condanna a 18 anni di carcere e non vi sono stati aggravi di pena per Giovanni Nesci, il 26enne originario di Sorianello, in provincia di Vibo Valentia, accusato del delitto di Fabio Catapano. Il fatto di sangue avvenuto il 17 luglio 2020 nel Lazio, a Castel di Leva, quartiere di Roma. Il 48enne era stato freddato da colpi di pistola davanti al cancello di casa. La decisione è stata assunta dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma che, dopo diverse ore di Camera di consiglio, ha respinto il ricorso della Procura che aveva chiesto invece la condanna all’ergastolo.

La confessione di Nesci

Nesci, di professione imbianchino, si era trasferito nella periferia della capitale nel 2020 e abitava insieme ad alcuni conterranei in una villetta. Il giorno successivo all’omicidio, il giovane si era presentato presso la stazione dei carabinieri confessando. Nella stessa circostanza, aveva consegnato l’arma usata per il delitto e motivato il folle gesto con spiegazioni di natura sentimentale, ovvero una presunta relazione tra la sua compagna e la vittima. Il movente aveva però convinto poco gli investigatori che invece ritenevano il fatto di sangue collegato ad un furto. Catapano sarebbe stato accusato della sottrazione di denaro ai danni del calabrese e poi barbaramente ucciso per strada.

I dettagli emersi dall'inchiesta Eureka

L’inchiesta “Eureka” della Dda di Reggio Calabria, però ha svelato retroscena ben più inquietanti. Non vi sarebbe stato nessun movente passionale ma un piano dietro al quale si cela la sparizione di 110 chili di cocaina che Nesci doveva custodire per conto della cosca Mammoliti. Secondo gli inquirenti, infatti, il compito del 26enne era quello di custodire, per conto della famiglia di 'Ndrangheta, il deposito della cocaina a Roma. Ma il carico, sparisce. Nesci avrebbe subito sospettato del vicino e «per dimostrare ai Mammoliti di non essere stato l’autore del furto, decideva di propria iniziativa di uccidere Catapano».

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