In primo grado Sergio Giana è stato condannato a 25 anni di reclusione. La sorella Giulia: «Per la mattanza che si è consumata meritava l’ergastolo». In piazza tante associazioni a difesa delle donne
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Loredana Scalone
Striscioni e donne in piazza. Si è aperto oggi in Corte d’Appello a Catanzaro il processo a carico di Sergio Giana, accusato dell’omicidio di Loredana Scalone. Accoltellata a morte e poi nascosta tra le insenature della scogliera di Pietragrande, a Stalettì. Era il 23 novembre del 2020, ad ottobre del 2023 arriva la sentenza di primo grado: una condanna a 25 anni di reclusione che ha lasciato la famiglia di Loredana insoddisfatta. Ancora oggi davanti al palazzo della Corte d’Appello per chiedere giustizia.
«Giustizia per Loredana» dice la sorella Giulia. «La sua voce è stata recisa, la sua vita è stata spezzata e noi siamo qui nel suo ricordo, nella sua memoria». La Procura non ha presentato appello alla sentenza di primo grado. Il ricorso depositato dalla difesa dell’imputato presumibilmente per ottenere uno sconto di pena.
«Per la mattanza che si è consumata ai danni di mia sorella, secondo noi, l’assassino meritava l’ergastolo, cosa che era stata chiesta dal pubblico ministero ma che poi non ha impugnato la sentenza» ha chiarito ancora Giulia Scalone.
28 coltellate, l’assassino reo confesso. I due intrattenevano una relazione sentimentale ma l’efferato omicidio in parte rimasto inesplorato nella sua organizzazione. Per i difensori della famiglia, che hanno chiesto più volte la riapertura delle indagini, nell’omicidio sarebbero coinvolti dei complici.
«Siamo provati perché non sappiamo come andrà a finire. Noi ci siamo costituiti e ci costituiremo parte civile nel processo per difendere la condanna a 25 anni di reclusione che però per noi resta insoddisfacente». In piazza a Matteotti a Catanzaro tante associazioni in difesa delle donne a sostegno della causa di Loredana Scalone.