’Ndrangheta

«Ecco come abbiamo ucciso la moglie del boss Bruno: è stata una vergogna», il racconto del pentito sul delitto di Squillace

Le prime dichiarazioni di Sandro Ielapi alla Dda di Catanzaro: «Ho commesso molte cose brutte, vogliono togliermi di mezzo». Il collaboratore confessa diversi omicidi (omissati) compreso quello del capo cosca e della compagna e fa i nomi dei fiancheggiatori del killer

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di Alessia Truzzolillo
17 settembre 2024
17:25
Il boss Bruno e la moglie Caterina Raimondi
Il boss Bruno e la moglie Caterina Raimondi

«Ho chiesto di essere sentito per il tramite del mio difensore perché principalmente se esco di qua so che qualcuno vuol togliermi di mezzo perché ho commesso molte cose brutte». Tra le «cose brutte» commesse da Sandro Ielapi, 49 anni, neo collaboratore di giustizia, ex referente su Girifalco della cosca di Borgia Catarisano, c’è più di un omicidio. «Ho commesso gli omicidi …» dice parlando con il sostituto procuratore Debora Rizza e col procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla. Il bianchetto imposto dal segreto istruttorio interviene a omissare a quali delitti si riferisca ma a un omicidio, si può leggere, il collaboratore era presente: quello del boss Giuseppe Bruno e della moglie Caterina Raimondi avvenuto a Squillace il 18 febbraio 2013.

Proprio agli atti del processo sul duplice omicidio – nel quale è imputato il 44enne Francesco Gualtieri – sono stati depositati i primi verbali di Ielapi.
Tra Borgia e Vallefiorita qualche polso starà tremando. Perché Ielapi fa nomi, si autoaccusa di omicidi e parla di fiancheggiatori e mandati.


Il movente del delitto secondo il pentito

Ielapi racconta che il movente del delitto Bruno-Raimondi si annida nel carattere fumantino della vittima che aveva messo in allarme gli esponenti della cosca Catarisano. «I problemi cominciarono con la morte di Giovanni Bruno che si dice fosse da ricondurre a Rocco Catroppa». Dopo quel delitto nacquero dissidi tra i Catroppa e i Bruno ed entrambi chiesero aiuto ai Catarisano. «Ciascuno chiedeva aiuto a noi contro l’altro».
Ma i Catarisano rifiutano di mettersi in mezzo e «Giuseppe Bruno si indispettì e armò zizzanie. Lui si vantava di aver ammazzato Catroppa».

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«Stava facendo un vero macello»

«Diceva Giuseppe Bruno a tutti in giro che avrebbe dovuto uccidere i Catarisano. Chiedeva le estorsioni nei territori della mia cosca. Stava facendo un vero macello. Cominciammo così a guardarci da lui. Temevamo che stupidamente commettesse qualcosa. C'era tanta tensione».
In questo stato di cose Francesco Gualtieri e altri «erano avvelenati e volevano eliminarlo».

«Qualcuno tradì Bruno»

Sandro Ielapi afferma che a organizzare l’omicidio sono stati in tre: Gualtieri, un autista il cui nome è omissato e lo stesso Ielapi che in quel periodo era sorvegliato speciale. Racconta che sono andati a far la posta alle vittime per diverse sere. «Nelle sere precedenti all'omicidio, noi ci limitavamo a guardare e non andavamo armati».
Il 18 febbraio 2013 «siamo andati quella sera perché ci dissero che era quello il momento. E' possibile che qualcuno tradì Bruno». Quella sera il commando era formato dai soliti tre e in più altre persone che attendevano in una macchina.

L’agguato

«Andammo io e Gualtieri – racconta Ielapi – lui con una mitraglietta e io con la pistola. In macchina c'erano […] con un Pajero blu. C'è una strada che taglia per andare a Squilla ce n’è un'altra che porta a destra ad Amaroni e dall'altra a Vallefiorlta. Prendemmo la strada a sinistra per la casa di Bruno. Dopo 500 metri c'è una stradina di cemento percorribile solo da un'auto. In macchina restarono su un pezzo di terra. Abbiamo aspettato circa 20 m. Arrivò una macchina. Noi eravamo acquattati. Si infilò a retromarcia nel garage. Abbiamo sentito chiudere il cancello. Gualtieri mi ha dato l’ordine di non muoverci e mi ha detto di aspettare nel primo cancello più vicino al luogo dove eravamo noi mentre lui si è portato verso l'altro cancello nel quale era entrata l'auto. Non ho visto Gualtieri sparare io rimasi a terra sentii solo gli spari. Gualtieri mi disse di stare lì. Da una ventina di metri mi fermai, lui si avvicinò all'altro cancello. Mi sono abbassato perché passò una macchina. In quel frangente sentii sparare. Subito dopo mi disse “corri" e andammo per Vallefiorita a piedi sulla terra e raggiungemmo […] che andavano avanti e indietro sulla strada finché ci recuperarono. Il Pajero era blu scuro».

«Uccidere anche la moglie è stata una vergogna»

Avere ucciso anche la moglie di Bruno, racconta Ielapi, ha destabilizzato l’omicida. L’ha vista cadere ed è caduto nel silenzio.
«Abbiamo buttato i vestiti nel fiume a Squillace. Hanno buttato forse anche la pistola che non avevo usato. Ricordo il silenzio di Gualtieri, perché era in dubbio che ci fosse pure la moglie. Secondo me l'ha vista quando è caduta, non prima. Era stranito non rispondeva alle nostre domande. Forse si era reso conto di quello che era successo. È stata una vergogna».
L’aver ucciso una persona che con la faida mafiosa non aveva nulla a che fare, un’innocente apparsa senza previsione, ha fatto calare il gelo: «E' stata una cosa brutta anche dopo. Si respirava un'aria pesante. La moglie non c'entrava niente. Io me ne vergognavo anche al solo sentirne parlare. Tant'è che non furono fatti commenti da nessuno di noi. Era una vicenda vergognosa».

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