Nell’universo capovolto della ‘ndrangheta tutto funziona al contrario. Lo Stato è il nemico, la legge un fastidio, i diritti un favore gentilmente concesso da questo o quel boss, che puntualmente presenterà la cambiale. Ed anche il nome di un magistrato diventa uno spauracchio e un insulto.

Le involontarie confessioni degli uomini dei Longo

Lo annotano in una informativa i carabinieri, costretti per lungo tempo ad ascoltare gli sproloqui, le minacce, le arroganti rivendicazioni del proprio ruolo criminale, oltre all’involontaria confessione di una lunga serie di reati di Vincenzo Rao e Antonio Raco, arrestati ieri su richiesta della procura antimafia di Reggio Calabria per il giro di usura con cui il clan Longo ha messo in ginocchio Polistena.

Le rivelazioni della cimice

Il 2 settembre del 2014, i due sono in auto con un soggetto che gli investigatori non sono riusciti a identificare. O magari, preferiscono non rivelare al momento chi stessero ascoltando allora. L’ambientale che hanno piazzato ascolta e trasmette tutto quello che viene detto. Si sta parlando presumibilmente di ‘ndrangheta e di dinamiche assai interne all’organizzazione, ma la conversazione è omissata.

«Se lo dicono a te, è finita la ‘ndrangheta»

L’anonimo interlocutore di Rao e Raco racconta di aver saputo qualcosa di assai riservato, ma i due non ci credono «Te lo dicono a te? te lo dicono a te? Ah? te lo dicono a te, un altro babbo come te, ed allora è finita la 'ndrangheta nella Calabria, è finita la 'ndrangheta davvero guarda» lo apostrofa Rao. E Raco aggiunge «l'ha vinta Gratteri», subito seguito dall’altro che concorda «sì, l’ha vinta Gratteri». L’anonimo interlocutore mugugna, Rao insiste, sempre a sfottò «Gratteri l’ha vinta, ha sconfitto la 'ndrangheta guarda». E il terzo lì perde le staffe «vaffanculo tu e lui».

«Tu sei peggio di Gratteri»

Come un adolescente dispettoso, Rao lo stuzzica «tu sei peggio di Gratteri, tu» e quello si arrabbia ancor di più. Biascica parole che chi ascolta e trascrive non riesce a capire, poi li insulta «(inc) tutti e due, bastardo». La conversazione finisce lì, complice una manovra azzardata che quasi rischia di provocare un incidente stradale. Ma quella discussione, apparentemente superficiale, per inquirenti e investigatori ha un significato profondo. Perché non solo dimostra la piena appartenenza al mondo dei clan dei tre, ma è anche una fotografia di un universo parallelo e perverso, che di fronte a certe battaglie e a chi con coerenza le porta avanti arriva a temere per la propria esistenza.