Il Tribunale civile di Paola ha concesso la rettifica del genere a una donna transessuale che non ha ancora ultimato la transizione, ossia la modifica chirurgica dei caratteri sessuali primari. Si tratta del primo caso nel Tirreno cosentino. «Sono felice - ha detto la ragazza -, ora finalmente non dovrò più sentirmi in imbarazzo quando mostrerò i miei documenti». La donna vive in un Comune della Riviera dei Cedri e già da anni ha intrapreso il percorso di transizione.

La lunga battaglia per la civiltà

Marta (nome di fantasia), che nasce nel corpo di un uomo, si accorge di soffrire di disforia di genere sin da bambina e crescendo, sin da subito, manifesta la volontà di affermarsi nella società come donna. Dopo un'iniziale titubanza, la famiglia non solo accetta la sua decisione, ma fa di tutto per supportarla. La ragazza, quindi, intraprende il suo percorso di transizione. Si fa crescere i capelli, si sottopone alla cura ormonale, sceglie per lei il nome che più le si addice. Amici e conoscenti prendono confidenza con la sua nuova identità e lei torna a nascere una prima volta. Si apre un'attività commerciale, trova un compagno, la sua vita è comune a tante giovani donne della sua età e scorre lieta e tranquilla in una piccola cittadina della provincia calabrese. Ma ogni volta che deve mostrare i suoi documenti, tutte le volte, ripiomba nell'angoscia, perché sa già che le verranno rivolte domande imbarazzanti e spesso fuori luogo, a cui non vorrebbe più rispondere.

Per questo, e non solo, sogna da tempo il cambio di identità in tribunale ma la legge 164 del 1982 consente la rettifica del genere solo a intervento medico-chirurgico già effettuato, ed è così anche dopo le modifiche del 2011. In tempi più recenti, il giudice poteva concederla solo obbligando la persona ad andare in sala operatoria nelle settimane successive. Marta, però, per problemi personali, non ha ancora ultimato il suo percorso e non ha intenzione di farlo nell'immediato, «anche se lo farò - specifica -, perché voglio farlo e perché trovo giusto che sia così». La svolta arriva nel 2015, con la sentenza n° 15138/2015 della Corte di Cassazione. Il massimo tribunale italiano, a «tutela dell'integrità psicofisica della persona transessuale» elimina l'obbligo del «trattamento chirurgico di demolizione degli organi sessuali», specificando che non è più indispensabile per l'attribuzione del sesso, nel caso in cui si sia già assunta l'identità di genere in cui ci si riconosce. Proprio come nel caso di Marta.

La richiesta al tribunale

Appena si è sentita pronta ad affrontare la battaglia, Marta ha dato mandato al suo legale di chiedere al giudice del tribunale civile di Paola la modifica anagrafica del sesso e il conseguente cambio di identità. Il suo legale ha presentato una fitta documentazione in cui, semplicemente, si evince che la sua assistita è una donna a tutti gli effetti e che il suo percorso di transizione, cominciato già molti anni fa, ha portato alla sua persona soltanto benefici. Il giudice ha accolto la richiesta. Ora il nome e il genere anagrafico di Marta, corrispondono alla sua identità di genere. «Per me - ha detto in ultimo, con la voce tremante dall'emozione - è come essere rinata per la terza volta».