VIDEO | Le dichiarazioni dell’ex bocca di fuoco dei Piscopisani Raffaele Moscato potrebbero scatenare una pioggia di arresti tra Vibo e le Preserre
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Vertici e gruppo di fuoco del clan dei Piscopisani rischiano di essere seppelliti dagli ergastoli. Perché Raffaele Moscato, dopo aver condiviso con loro crimini d’ogni tipo, collabora con la giustizia. E lo fa in maniera lucida, circostanziata. Offrendo al pool di Nicola Gratteri, a carabinieri e poliziotti, elementi preziosi anche su omicidi dimenticati: derubricati come fatti di microcriminalità, rimasti alla Procura di Vibo, mai trasferiti - i fascicoli - a Catanzaro. Raffaele Moscato racconta ad esempio, la sorte di Antonio D’Amico, 27enne, per averla appresa de relato. Lo crivellarono con undici colpi di pistola sotto casa della nonna, a Piscopio, nella notte tra l’1 e il 2 giugno 2005. Era un giovane pregiudicato, ritenuto contiguo alla mala delle Preserre vibonesi.
Anche Massimo Stanganello aveva rapporti coi bassifondi del crimine locale. Nel 2008 lo fecero sparire. Moscato non prese parte all’omicidio e all’occultamento di cadavere, ma ad un certo punto gli diedero l’ordine di disseppellirlo e spostarlo altrove. Si rifiutò di farlo, prima che gli svelassero dove l’avessero nascosto. A seguire, una serie di tentati omicidi, agguati e ferimenti, che condussero poi al più eccellente dei loro fatti di sangue: quello di Michele Palumbo il 12 marzo 2010 a Longobardi, l'assicuratore ritenuto il factotum del boss Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, che i Piscopisani volevano uccidere e poi decapitare. L’ex killer ora pentito potrebbe scatenare, con le sue rivelazioni, uno tsunami di arresti anche nelle Preserre vibonesi, teatro della guerra di mafia tra gli eredi dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo e il clan degli Emanuele: offre spunti utili sugli omicidi di Nicola Rimedio, Domenico Ciconte, Antonino Zupo, ma anche sull’omicidio di Filippo Ceravolo (vittima innocente di mafia). Offre dettagli, circostanze, ma fa soprattutto nomi. Gente che presto o tardi potrebbe essere travolta da una pioggia di “fine pena mai”.