Il presule della diocesi di Reggio Calabria-Bova risolleva la questione dell'aumento dei prezzi. «Se uno Stato non tutela gli affetti di chi è costretto a emigrare, come può dirsi garante del popolo?
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«Come è possibile che un biglietto aereo per tornare in Calabria a Natale arrivi a costare ben oltre i 600 euro?»
Va dritto al punto l’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, Giuseppe Fiorini Morosini, peraltro non nuovo a questo tipo di interventi in tema di mobilità, fermamente convinto che non si debba, né si possa «lucrare sulla necessità di vivere, almeno poche volte l’anno, la dimensione familiare».
Un’attenzione, questa, che il presule ha mantenuto sempre alta durante il suo episcopato nella diocesi di fondazione paolina: già nel gennaio 2017, aveva infatti indirizzato una lettera alle massime cariche dello Stato per sollevare le difficoltà stagnanti in cui versava l’aeroporto “Tito Minniti” di Reggio Calabria, ricevendo la risposta del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti del tempo, Graziano Delrio. Arrivarono rassicurazioni che, però, oggi non trovano un effettivo riscontro rispetto all’attività dello scalo. «Ciclicamente – aggiunge infatti - si torna a parlare dell’emergenza legata all’aeroporto dello Stretto e al suo mancato decollo. Un’emergenza, però, non può essere perenne. Cambiano gli attori politici, cambiano le società di gestione, ma lo scalo di Reggio Calabria continua ad avere difficoltà che sembrano insormontabili. Perché?».
Un interrogativo che Morosini, da uomo di chiesa gira a chi di dovere, non potendo addentrarsi «nelle analisi tecniche», ma solo in un aspetto intimo e più umano che interessa chi è lontano da casa e spera nelle festività natalizie per poter riabbracciare i propri cari. «Se – chiede ancora a tal proposito - uno Stato non tutela gli affetti di chi è costretto a emigrare pur di trovare lavoro, come può dirsi garante del popolo? Reggio e i reggini hanno il diritto di potersi muovere in libertà. Spesso sono costretti a farlo per motivi di salute, altre volte per ricongiungersi coi propri cari. Sappiamo che gli strumenti ci sono, bisogna usarli perché, come scrissi già nel 2017 – conclude l’arcivescovo Morosini – l’isolamento di un territorio rende i più fragili ancora più deboli irrobustendo, invece, la tracotanza del malaffare».