«Il 4 febbraio sarà il 26esimo anniversario di quando mia moglie Maggie ed io incontrammo per la prima volta sei delle sette persone le cui vite erano state trasformate quando avevano ricevuto gli organi e le cornee di mio figlio, Nicholas Green». Inizia così la lettera di Reginald Green, padre del bimbo americano di sette anni colpito e ucciso da un proiettile durante una rapina andata male lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, mentre la sua famiglia era in vacanza in Italia nel settembre del 1994. «Il settimo ricevente – aggiunge - stava bene ma stava ancora ristabilendosi in ospedale».

Reginald torna così su un argomento a lui caro: la liberalizzazione dei contatti tra le due parti coinvolte in un trapianto. E lo fa raccontando la sua esperienza. «Incontrarli a Messina – spiega, riferendosi ai sei riceventi degli organi del piccolo Nicholas -, durante un evento organizzato dalla Fondazione Bonino-Pulejo, è stato uno dei momenti più edificanti della mia vita. Fino ad allora, i riceventi erano stati solo dei nomi. Vederli mi fece capire nel modo più vivido possibile quanta devastazione la nostra semplice decisione avesse evitato. Ventisei anni dopo, cinque dei sette riceventi vivono ancora delle esistenze produttive, sebbene una di loro sia tornata in dialisi e un altro abbia avuto un secondo trapianto di cornea».

«Quell’incontro, però – aggiunge -, sarebbe impossibile oggi in Italia. Nel 1999, è stata emanata una legge che impedisce al personale sanitario di divulgare qualsiasi informazione sia riguardo i donatori di organi che i loro riceventi. Venne promulgata con le migliori intenzioni – per assicurare la privacy – ma ha generato l’insensibile, alcuni direbbero crudele, risultato che due famiglie non possono ricevere nient’altro che le informazioni di base sulla propria controparte. Non possono nemmeno scambiarsi lettere anonime».

Allo stato attuale esiste comunque una proposta di legge stata presentata in Parlamento «per permettere – spiega Green - alle due parti di scriversi qualora entrambe lo vogliano, o persino incontrarsi, sotto condizioni stabilite dai loro medici. Il Dott. Pierpaolo Sileri, vice-ministro della Salute, ha commentato “La liberalizzazione dei contatti tra riceventi e donatori è un gesto di umanità e civiltà, un atto doveroso”. Si tratta di uno strabiliante cambiamento. Quando cominciai una campagna per liberalizzare i contatti, non riuscii ad ottenere il sostegno di neanche un singolo medico o funzionario della sanità, ma solo di un amico di Roma, Andrea Scarabelli. Eravamo così soli che diventammo conosciuti come Don Chisciotte e Sancho Panza».

«Ma quando demmo origine alla nostra campagna – continua -, un gruppo abbastanza numeroso di media fu di mente aperta abbastanza da visualizzare quanto di conforto potesse essere per le famiglie dei donatori sapere che differenza avesse fatto la loro donazione. Alcuni dei maggiori quotidiani pubblicarono importanti articoli, alcuni dei programmi televisivi più seguiti concessero spazio per interviste, e le interviste alle radio raggiunsero i guidatori bloccati nel traffico. Dall’essere una materia che sembrava estinta come un dodo, le persone in tutta Italia cominciarono a chiedere alle autorità sanitarie: “Se due famiglie con un legame così stretto come questo vogliono entrambe contattarsi, perché qualche burocrate dovrebbe avere il potere di dire di no?” Marco Galbiati, di Lecco, il cui figlio quindicenne Ricky era morto nel 2017, raccolse 50.000 firme in una petizione per cambiare la legge».

Negli Stati Uniti i contatti tra familiari dei donatori e riceventi sono permessi, e non solo: «Sono stati anche fortemente incoraggiati negli ultimi trent’anni, decine di migliaia di famiglie si sono scritte e alcune di loro si sono incontrate. I rapporti clinicamente documentati mostrano che la stragrande maggioranza di queste interazioni è stata terapeutica per entrambe le parti. Dopo aver studiato le prove, ogni principale autorità della Sanità italiana – il Comitato Nazionale di Bioetica, l’Istituto Superiore di Sanità e il Centro Nazionale Trapianti – ha parlato a favore del permettere i contatti. E il progetto di legge in Parlamento – conclude Reginald - ha fatto proprie le loro raccomandazioni». 
La storia di Nicholas Green raccontata a LaC Dossier: