«Le assunzioni alla Caronte? La maggior parte, al 50-60% erano regolari. Le seguiva Repaci, le seguiva chi le doveva seguire. Un 35% venivano scritte perché dovevano essere assunte due degli Alvaro, 2 degli Imerti, 2 dei De Stefano, 2 di qua, due di là. Poi è capace che i Rosmini, o tramite i Campolo ne assumevano dieci, ne assumevano dodici. Quello era un altro discorso».

Giuseppe Liuzzo è un collaboratore di giustizia che conosce molto bene le dinamiche ‘ndranghetistiche. Soprattutto quelle risalenti a qualche anno fa, quando anch’egli era al centro della scena criminale reggina e non solo. Sono le sue parole a delineare in maniera dettagliata il legame esistente fra la società “Caronte spa” della famiglia Matacena e le cosche reggine. 

Liuzzo e la famiglia Matacena 

Nell’interrogatorio del novembre 2019, Liuzzo ha parlato dei rapporti della famiglia Matacena, con Bruno Campolo, boss di ‘Ndrangheta che svolgeva servizio di biglietteria inerente operazioni di imbarco di passeggeri ed automezzi e gestiva il servizio bar-ristorazione sulla Caronte, oggi svolto dal figlio di questi, presidente del CdA della Caap, fino al marzo 2020. Liuzzo tratta sia dei suoi rapporti di conoscenza con il “cavaliere” Amedeo Matacena senior, classe ’19, sia con il figlio Amedeo Gennaro Matacena, già parlamentare della Repubblica nella fila di Forza Italia, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ed ancora oggi latitante a Dubai, in barba ad accordi di estradizione di qualsiasi genere. Liuzzo ha raccontato di essere stato messo in contatto con i Matacena, legati in modo stretto a Bruno Campolo, da Diego Rosmini, capo dell’omonima famiglia di ‘Ndrangheta. Campolo, in virtù del suo spessore delinquenziale, «aveva ottenuto la gestione dei bar a bordo delle imbarcazioni della “Caronte”, così ricavando significativi profitti che si andavano a sommare agli ulteriori guadagni che la società garantiva alle ‘ndrine», scrivono i giudici. «Il Cavaliere (Matacena, ndr) è collegato a Bruno (Campolo, ndr) – spiega Liuzzo nei suoi verbali – Quindi, in poche parole, Bruno ha i rapporti con Araniti e con i De Stefano, perché a quei tempi quelli che contavano erano gli Araniti e i De Stefano». 

L’appoggio a Matacena jr 

Non aveva particolari simpatie verso Amedeo Matacena jr, il pentito Liuzzo. Lo riteneva meno affidabile del padre, il quale aveva invece dato buone “garanzie” alle cosche. Insomma, secondo Liuzzo, Matacena non avrebbe dato una buona impressione «come serietà». Ad ogni modo, di fronte alle pressanti richieste del boss Diego Rosmini (classe ’59, ma per la Dia si tratta di quello classe ‘55), Liuzzo aveva infine deciso di appoggiare il giovane Matacena alla campagna elettorale del 1994, per l’elezione alla Camera dei deputati. Ma per Liuzzo, l’impegno di Rosmini non era questione di soldi: «Non è una questione di soldi, è una questione, essendo che Santa Barbara è andata male, essendo che il padre di Amedeo Matacena, il cavaliere voglio dire, è massone, dice ci ha pros… ci ha promesso delle garanzie, dice a livello… (…) Il vecchio aveva promesso, in poche parole, sia di mettere a disposizione gli avvocati pagava lui (…) aveva delle amicizie a Roma e che il processo lo faceva tornare indietro. Essendo che c’erano delle anomalie (…) Il Santa Barbara. Loro non volevano soldi i Rosmini». Non soldi, dunque, ma processi da aggiustare. Sebbene Amedeo Matacena junior non fosse così prodigo con le cosche, a differenza del padre.  

La Caronte pagava alle cosche 150-200 milioni di lire l’anno 

Che Caronte pagasse soldi alle famiglie di ‘Ndrangheta lo si capisce dalle parole di Liuzzo: «Il padre (di Amedeo Matacena jr, ndr) lo faceva con Bruno Campolo. Aveva il bar, aveva la gestione loro prendevano che erano rimasti… centocinquanta milioni all’anno che doveva dare la Caronte alle famiglie per non avere… perché loro uscivano tranquillamente, senza bodyguard e macchine blindate, se lo sa, per avere una cosa del genere voglio dire il cavaliere pagava, centocinquanta duecento milioni l’anno. Come società, giusto?». Il pm Lombardo chiede: «Pagava perché era estorto o era un pezzo del sistema?». E Liuzzo replica: «No, lui pagava. Il sistema, dottore, lei lo sa il sistema com’è (…) se veniva da me, quindi ma scusa se tu hai vent’anni che mangi con loro ora perché devi dire che sei estorto?». Il dialogo prosegue e Lombardo chiede: «Quindi vi sono imprese che fanno parte del sistema ‘Ndrangheta che a un certo punto…». Liuzzo conferma: «Novanta percento, il novanta percento è così». E Lombardo completa: «Ad un occhio distratto possono apparire estorte, ma che estorte non sono (…) E questo vale anche per i Matacena?». Liuzzo: «Sì, i Matacena davano quello che davano perché era come se facevano un regalo, perché Matacena (inc.) le capacità del cavaliere voglio dire, quando si parla del cavaliere Matacena».  

Posti di lavoro distribuiti alle cosche 

Ma Liuzzo afferma di essere a conoscenza anche di come venissero distribuiti i posti di lavoro all’interno della vecchia Caronte. «Loro gestiscono, voglio dire, anche le assunzioni», afferma il pentito riferendosi alle cosche di Villa San Giovanni: «Le assunzioni erano tutte, la maggior parte, al 50-60% erano regolari. Le seguiva Repaci, le seguiva chi le doveva seguire. Un 35% venivano scritte perché dovevano essere assunte due degli Alvaro, 2 degli Imerti, 2 dei De Stefano, 2 di qua, due di là. Poi è capace che i Rosmini, o tramite i Campolo ne assumevano dieci, ne assumevano dodici. Quello era un altro discorso». Un quadro risalente ai tempi di Amedeo Matacena. Sul punto, Liuzzo, sollecitato dalle domande del pm Ignazitto circa la natura di accordo o di estorsione nei confronti della Caronte, non ha dubbi: «Dottore, io le posso dire una cosa. Nel periodo delle assunzioni, lui andava a pranzo e si mangiava le frittole. Quindi non penso… non voglio giudicare male… ma se uno viene a casa mia o andiamo sempre al ristorante e Matacena è sempre con me, io che faccio, gli faccio l’estorsione?».