Nel tardo pomeriggio di ieri, amici, famigliari e conoscenti di Francesco Prisco si sono ritrovati in piazza Stella Maris, a Tortora, per assistere alla messa celebrata da don Antonio Pappalardo e piantare un albero di ulivo in sua memoria, in segno di speranza e rinascita. Il 31enne rimase ferito da diversi colpi di fucile in un agguato avvenuto la notte del 17 febbraio di un anno fa a pochi metri dall’uscio della sua casa e spirò dieci giorni dopo all’ospedale di Cosenza. Per il suo omicidio risultano attualmente indagate a vario titolo tre persone, la cui posizione dovrà ancora essere valutata nel processo instaurato al tribunale di Paola.

La tossicodipendenza e l’agguato mortale

Sin da subito, gli inquirenti ipotizzarono che l’omicidio potesse essere maturato negli ambienti di droga. Cruciale risultò essere la testimonianza dello stesso Prisco che, sanguinante ma ancora perfettamente lucido, rivelò i nomi dei suoi presunti aguzzini ai carabinieri che per primi arrivarono sul posto. Nelle settimane successive, la madre del giovane, Erminia Limongi, rivelò pubblicamente che suo figlio era caduto nella tossicodipendenza, condizione da cui non era riuscito a liberarsi nonostante l’ingresso in una struttura riabilitativa, avvenuto nella primavera del 2020, e le cure e l’aiuto di amici e famigliari. Mamma Erminia raccontò la sua drammatica esperienza per lanciare un potente messaggio ai giovani e ai loro cari: agite prima che sia troppo tardi, prima che i ragazzi finiscano in giri troppo grandi, stritolati dalla pressione dei debiti e dalla spietatezza degli spacciatori. Francesco Prisco è stata solo l'ennesima vittima di un sistema marcio, ormai consolidato. Il territorio del Tirreno cosentino è considerato un'enorme piazza di spaccio della droga, un lembo di terra in cui la criminalità fa grossi giri di affari vendendo la morte a piccole dosi, anche ai ragazzini. La situazione, ormai nota a tutti, è causa di enormi disagi famigliari e sociali.

Il messaggio della madre ai giovani

Anche ieri sera Erminia Limongi ha approfittato della presenza di tanti ragazzi e ragazze alla manifestazione per ribadire la volontà di portare avanti la sua battaglia. «Voglio creare un’associazione, metterò tutta me stessa, farò tutto ciò che posso fare, racconterò l'esperienza di mia di mio figlio, la sofferenza di quando piangeva perché aveva bisogno di soldi. Chiedo a voi di aiutarmi a portare avanti questo progetto». Poi ha continuato: «Mio figlio mi manca tantissimo, voglio pensare che sia veramente diventato un angelo. Ora ha smesso di soffrire, di dare spazio a quelle persone - gli spacciatori, ndr - che rovinano i ragazzi. Noi genitori li dobbiamo aiutare i nostri figli, dobbiamo farlo soprattutto noi».

L’abbraccio invisibile di Francesco

«Se potessi parlare con mio figlio in questo momento – ha aggiunto Ermina -, gli direi che ho bisogno di un abbraccio, uno dei suoi. Ogni tanto parlo con lui, gli chiedo di inviarmi un segnale, di farmi sapere se sia felice di ciò che sto facendo. Così a volte succede che magari qualcuno mi si avvicini per chiedermi se può abbracciarmi. Io lo so che quell’abbraccio me lo manda mio figlio. Se potesse sentirmi, gli vorrei dire grazie per essere stato mio figlio, per avermi scelto come sua madre. Nonostante tutta la sofferenza, il mio amore per lui e quello che lui aveva verso di me, è immenso».