Uno spiraglio per il 35enne Raffaele Calamita, condannato in via definitiva. La Corte d’appello di Napoli risentirà il pentito Emanuele Mancuso, che ha raccontato il presunto depistaggio
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La Corte d’Appello di Napoli ha deciso di riaprire il processo nell’interesse di Raffaele Calamita, 35 anni, di Tropea, condannato in via definitiva per l’omicidio di Salvatore Russo, freddato con quattro colpi di pistola a Tropea il 10 settembre 2013.
I difensori del condannato avevano presentato un’istanza di revisione del processo e per ritenerla nel merito ammissibile o meno, la Corte ha oggi deciso di procedere con una nuova audizione del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso che ha reso delle dichiarazioni sul fatto di sangue. L’esame del collaboratore è stato fissato per l’udienza datata 1 ottobre prossimo.
Tropea, omicidio Russo: confermata condanna a 16 anni per Calamita
La competenza della Corte d’Appello di Napoli era stata stabilita dalla quinta sezione penale della Cassazione che aveva annullato con rinvio la decisione della Corte d’Appello di Salerno che il 9 febbraio 2002 si era pronunciata per l’inammissibilità dell’istanza di revoca della sentenza definitiva con la quale il 26 giugno 2016 la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha condannato Raffaele Calamita a 16 anni di reclusione.
Decisive per riaprire il caso, proprio le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso che, ad avviso della Suprema Corte, non sono state ben valutate dalla Corte d’Appello di Salerno e da qui la decisione di investire del processo la Corte d’Appello di Napoli sulle dichiarazioni rilasciate in altro procedimento penale successivamente all’intervenuta definitività della sentenza di cui è stata richiesta la revoca.
Emanuele Mancuso ha riferito de relato sull’identità del presunto mandante dell’omicidio e sul fatto che la compagna della vittima, teste oculare del delitto, sarebbe stata indotta ad identificare nel Calamita l’autore del reato. In particolare, Emanuele Mancuso in un diverso procedimento ha riferito – come sottolineato dalla Cassazione – di avere appreso che il mandante dell’omicidio doveva identificarsi in Francesco La Rosa, fratello di Tonino e che la principale teste di accusa (la teste oculare compagna della vittima) era stata indotta dal predetto mandante, in cambio di un corrispettivo, ad accusare falsamente Calamita del delitto. Continua a leggere sul Vibonese.it.