Un 50enne avrebbe costruito tre villini a Roma senza poi adempiere ai dettami contrattuali. Minacce ai proprietari dei terreni il modus operandi per uscirne
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Teste di capretto mozzate, scuoiate e avvolte nel cellophane per intimidire e convincere a rinunciare all’azione legale intrapresa nei loro confronti per un debito non saldato e concordare una buonauscita forfettaria decisamente sconveniente.
Era questo il modus operandi di Paolo Cosentino, cinquantenne lametino, verso il quale la Squadra Mobile di Roma, in collaborazione con la Squadra Mobile di Catanzaro, ha eseguito un provvedimento di arresti domiciliari disposto dal Gip del Tribunale di Roma al termine delle indagini svolte dalla Direzione Distrettuale Antimafia.
Indagini partite nel gennaio 2019 quando un padre e un figlio ricevono due pacchi contenenti le teste degli animali e immediatamente agganciano l’accaduto alle controversie pendenti con una famiglia calabrese di costruttori. Si tratta dei Cosentino, titolari di una società immobiliare, che aveva costruito su dei terreni della Capitale alcuni villini, edificandoli sulla proprietà dei due e non ottemperando agli obblighi contrattuali.
La vicenda finisce in tribunale e i magistrati dispongono un risarcimento di 480 mila euro. Dalle attività di indagine sarebbe emerso che a novembre 2018 i Cosentino avrebbero proposto di chiudere la controversia per 150 mila euro . Contatti simili sarebbero avvenuti anche subito dopo l’emissione della sentenza del Tribunale di Roma.
Inoltre, gli investigatori hanno appurato che sempre Cosentino, «a riprova del chiaro intento di non voler pagare quanto dovuto- dice un comunicato - aveva acquistato il credito ipotecario di primo grado di una banca, gravante su uno dei tre villini (peraltro locato ad una terza persona) e aveva iscritto un credito per prestazioni professionali di 300.000 euro sulla base di un atto di riconoscimento di debito da parte della società immobiliare calabrese «con l’evidente finalità di impedire dolosamente la possibilità di recupero dei villini e delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno».
In seguito alla ricezione dei pacchi contenenti le teste di capretto, in preda ad una forte agitazione legata al timore per quanto accaduto, il figlio comunicava al proprio avvocato di voler accettare la proposta transattiva, anche se sfavorevole. Dalle telefonate intercettate, affermano gli inquirenti, «traspare con tutta evidenza lo stato di sottomissione dell’intera famiglia che, però, non si decide a cedere alla proposta». A causa del prolungarsi di questa indecisione, nel marzo 2019 viene recapitata ad una delle vittime, una missiva anonima dal contenuto minatorio e con un chiaro riferimento a possibili atti lesivi nei confronti suoi e della sua famiglia.