VIDEO | La nuova associazione che gestirà la struttura non vuole rinnovare i contratti di 11 lavoratori. «Saremo licenziati in tronco dopo essere stati sfruttati per anni»
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Sit in di protesta stamattina nel'area di fronte alla tendopoli di San Ferdinando, ma questa volta a manifestare non sono gli africani – e neanche le associazioni umanitarie che si occupano di loro – ma gli operatori italiani che lavorano nella struttura.
Nelle more del nuovo affidamento deciso in queste ore, l’associazione che è subentrata non si vuole avvalere della loro prestazione fornita, in questi 3 anni, con contratti a termine che non sempre hanno garantito agli 11 lavoratori il versamento dei contributi previdenziali.
«Dall’oggi al domani e senza preavviso – denuncia Giuseppe Cambiale – ci hanno comunicato che il nostro lavoro è finito: un licenziamento in tronco che non meritavamo».
È nato un concentramento simbolico, senza bandiere o sostegno sindacale e senza interferire sulle normali operazioni quotidiane dentro la struttura voluta dalla prefettura di Reggio.
Loro hanno lavorato per le diverse associazioni umanitarie che si sono susseguite in questi anni, poiché ad ogni affidamento veniva applicata una sorta di clausola sociale che comportava la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Il comune di San Ferdinando ha fatto una nuova gara, l’ha vinta una associazione di Reggio Calabria – “Guardia faunistica ambientale” si chiama – che sembra non volersi avvalere della loro prestazione.
«Siamo stati sfruttati – aggiunge Michele Cichelli – da ultimo durante il periodo caldo dell’emergenza covid, quando ci chiesero di rimanere e noi l’abbiamo fatto seppur in una condizione difficile».
La continuità lavorativa si sarebbe interrotta, tra l’altro in un periodo ad alta tensione sociale, dopo il fallito tentativo di tagliare 20 tende – con la protesta dei migranti nella scorsa settimana – e una recente denuncia sporta da uno degli operatori che sarebbe stato aggredito da uno dei 200 ospiti presenti in questo periodo con o senza permesso.
«La struttura è in una condizione fatiscente sotto gli occhi di tutti – conclude Cristina Broso – e a fronte di questo ci sembra grave che non si voglia chiamare al lavoro, con una paga non certo florida, persone che come noi hanno garantito un servizio complicato, ad alto rischio sicurezza e dopo una conoscenza degli ospiti che sembrava per noi motivo di una qualificazione professionale da premiare, giammai da penalizzare e interrompere».