«Sì, Villani venne da me». È un’ammissione. Parziale, certo, e relativa ad un singolo fatto. Ma di sicuro le parole di Rocco Santo Filippone rappresentano per il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo un «dato enorme» su ciò che è avvenuto nel gennaio del 1994, quando a cadere sotto i colpi di Consolato Villani e Giuseppe Calabrò ci furono i carabinieri Fava e Garofalo. Un fatto di sangue per il quale oggi Filippone, assieme al boss di Cosa nostra, Giuseppe Graviano, si trova imputato davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria.

Il lungo interrogatorio

È il 28 luglio del 2017 e Rocco Santo Filippone, da poco finito in manette, si trova davanti al gip Olga Tarzia ed al pm Lombardo per l’interrogatorio di garanzia. Sono migliaia le pagine che parlano dei fatti che lo riguardano. Filippone decide di rispondere alle domande e, come da tradizione in questi casi, nega. Nega fino all’inverosimile. Nega di conoscere chiunque sia anche solo timidamente accostabile alla ‘ndrangheta; nega di sapere nomi, circostanze e fatti. Afferma di aver appreso quel poco che sa sulla ‘ndrangheta, dai giornali e dalle televisioni. Eppure, dirà in diversi passaggi il gip Tarzia, la fama di Filippone lo precede, tanto da interessare personaggi di primo piano che, ora pentiti, hanno avuto un ruolo determinante nell’organigramma delle cosche del nord Italia. Filippone nega con veemenza ed è nei suoi diritti.

«Purtroppo è mio nipote»

Alle prime domande del gip, Filippone parla di suo nipote, Giuseppe Calabrò, figlio della sorella e autore materiale del duplice omicidio. «Purtroppo è mio nipote», esordisce. «Quando era giovanotto, veniva con sua mamma o con suo papà. Quando è successo questo fatto, questo dell’omicidio voglio dire no? Io sono rimasto trasecolato, non solo io, tutto il gruppo della mia famiglia. Non siamo stati mai a trovarlo in carcere e mai un saluto, da 23 o 24 anni, perché (…) come può uno uccidere due povere persone senza motivo, perché per me non ‘è nessun motivo». Nega di conoscere Consolato Villani e assume di non sapere minimamente la ragione che ha portato all’omicidio dei carabinieri. Anzi, a più riprese, domanda al gip: «Dottoressa, che cosa mi hanno fatto? Quale motivo avevo io di andare a dirgli a questi signori qua: “Vai a sparare questi carabinieri?” (…) Chiedo scusa ma solo un pazzo…». Il “no” continua anche circa le possibili doti conferite, gli incontri con gli appartenenti alle cosche reggine. E anche le parole su Villani non sono tenere.

«Riina? Non esiste proprio»

Il giudice chiede in modo diretto: «Avete mai sentito parlare, ad esempio, di Riina?». Filippone risponde sì, ma sempre per televisione: «Che dicono che praticamente gli dovevano dare i domiciliari, che è malato, e gliel’avevano accettato e la Cassazione…». Il gip incalza: «Ma sapete che Riina aveva molto a cuore questa cosiddetta strategia stragista, che voleva attuare variamente con…». Filippone interrompe e spiega: «Dottoressa, può darsi pure che è vero, però non vi posso dire sì o no, ma assolutissimamente con me, proprio di queste cose qua di Riina, non esiste proprio. Vi sto dicendo che non ho avuto mai l’onore di conoscere un siciliano». E poi ecco la spiegazione: «Per me questa è una cosa preparata, non so da quanti anni che stanno studiando che mi vogliono male e non so il perché, e non so il perché. Questo vi sto dicendo io».

«La droga? Non mi risulta»

Anche quando il pm Lombardo fa notare a Filippone le accuse che sono state mosse ai suoi figli per traffico di droga, lui risponde seraficamente: «A me risulta soltanto che l’ho letto per giornali». Poi il pm svela che il secondo figlio di Filippone, Antonio, è stato arrestato per droga. Una circostanza che a Filippone non può risultare perché era già in carcere. Allora Lombardo domanda: «Lei ha due figli che risultano inseriti in un circuito di trafficanti di stupefacenti. Ora lei sta dicendo al presidente della sezione gip, che lei è sempre stato estraneo da circuiti criminali, vero». «Certo», risponde Filippone. Ma perché sono finiti così i figli? «E perché ognuno – dice l’imputato . ognuno fa la sua strada. (…) Ancora si deve vedere se sono colpevoli o no, no?».

«Oppedisano, sapevo che andava al mercato»

Per quanto concerne poi il capocrimine arrestato nel 2010, Mico Oppedisano, Filippone glissa: «Io lo conosco in che senso? Che praticamente so che va… ogni lunedì andava ad un mercato, ad un altro mercato, che vendeva». Lombardo ribatte: «E non ha letto sui giornali che è il capo crimine, l’operazione “Crimine”, non ha letto niente?». Filippone non si scompone: «Ma pure che l’ho letto?».

«Lei è un Piromalli». «Mamma mia!»

Emblematico lo scambio di battute fra Filippone e il pm, quando questi lo indica come appartenente alla cosca Piromalli.

Pm: Lei è un Piromalli

Filippone: Sì?

Pm: Già nel 1990 questo risultava

Filippone: Che sono un Piromalli io?

Pm: Sì, sì, sì

Filippone: Mamma mia!

Pm: Altro che non conosce i Piromalli!

Le parole della madre del killer

Come si ricorderà, la madre di Giuseppe Calabrò si recò dal figlio in carcere per chiedere di smettere di parlare della famiglia, dopo l’interrogatorio reso ai magistrati, in cui Calabrò fece il nome dei Filippone: «Devi andare indietro, tutto indietro», disse la donna. Ma anche su questo, il presunto mandante dell’omicidio dice di non saperne nulla, né sa replicare quando il pm gli dice chiaramente che non avrebbero avuto senso le parole della donna, se non vi fosse stato un coinvolgimento dei familiari nella vicenda.

«Sì, Villani venne da me»

Ma è oltre la metà dell’interrogatorio che Filippone, incalzato dalle domande del pm Lombardo abbozza un’ammissione che, dalla prospettiva accusatoria, assume valore enorme.

Si discute di Villani, della sua affiliazione, del suo inserimento a Santa Caterina. Filippone spiega che Consolato Villani non lo ha mai incontrato, contrariamente a ciò che il pentito dice, ossia di essere andato a casa dell’imputato con suo padre, Giuseppe, e con Calabrò. Il gip Tarzia chiarisce i contorni di quella visita: «Anche perché il padre era un po’ preoccupato del comportamento di questo ragazzo, quindi è venuto a chiedere a voi rassicurazioni in una circostanza, il papà di questo ragazzo, Villani». Ed è così, che in un primo momento, Filippone fatica a ricordare: «Ma sono 30 anni… 30 anni fa, 25 anni fa, non so, non ricordo». Pian piano, però, arrivano le prime ammissioni: «Ma se non so di chi stiamo parlando, pure che io l’ho tranquillizzato, che cosa… non so niente, stai tranquillo che…». Il giudice incalza: «Perché è venuto da lei?». Filippone incassa: «Ma se sono venuti… se sono venuti là, perché praticamente siamo cognati, ed è venuto a dirmi qualcosa, quindi non è che gli ho detto». Poi una frase cruciale: «Come ben sapete, certe volte un figlio non si confida col padre e magari ha potuto dire: “Vedi se mio figlio passa così, così, così”». È il pm a trarre una deduzione: «Quindi lei ci sta spiegando perché nella strategia di attacco ai carabinieri lei sceglie proprio Calabrò, perché per lei era quasi un figlio». Poi riprende a proclamarsi innocente. Passa qualche minuto e l’argomento torna di nuovo a quell’incontro. Ed è qui che avviene l’ammissione. Riportiamo l’esatto scambio di battute fra il pm e l’imputato.

Filippone: Vi ho detto che a sto signore non lo conosco, non lo conosco

Pm: Non lo conoscete

Filippone: Non lo conosco ‘sto Villani!

Pm: Però l’incontro con Villani Giuseppe a casa vostra non l’avete negato

Filippone: con chi?

Pm: L’incontro con Villani Giuseppe a casa vostra Lei non l’ha negato

Filippone: Sarebbe il padre di…

Giudice: il padre, il padre. Prima avete detto che è venuto

Filippone: Ammesso che è avvenuto, no? E che…

Pm: Ammesso che è avvenuto

Filippone: E che incontro abbiamo avuto? A fare cosa?

Pm: È venuto Villani Giuseppe a dire: “Guarda che mio figlio ha preso una brutta piega, frequenta tuo nipote e ho paura che stanno facendo qualcosa di grave”, ed è venuto da lei, perché è venuto da lei?

Filippone: Perché è venuto da me, ritenendo opportuno che magari siamo cognati, con mio cognato, e magari è venuto là a dirmi: “Vedi che qua se tu hai la possibilità, chiama qualcuno per…”

Pm: Per come lei si è difeso oggi, quello che sta dicendo è una conferma che è venuto

Filippone: Sì

Pm: Sì, lei lo sta confermando

Filippone: E beh? Sì, è una conferma

Pm: Eh, benissimo

Filippone: E che… che… e che c’è?

Pm: Niente. Per me è un dato di enorme…

Filippone poi riferisce che ad essere presente, quel giorno, però, era soltanto Giuseppe Villani, padre di Consolato. Non il figlio. Filippone spiega quell’appuntamento: «Mi ha chiesto che praticamente questi due, che dico la verità, messi insieme sono pericolosi». Dunque, in un primo tempo, Filippone nega anche solo di conoscere Villani. Poi afferma di aver visto il padre di Villani e di sapere che, con il nipote, sono pericolosi. In seguito riferisce di aver parlato con suo nipote, Giuseppe: «Gli ho detto io: “Vieni qua. Non credo che stai combinando qualcosa – gli ho detto io – che … perché se stai combinando qualcosa, dimmelo che riusciamo per… poterla riparare». «Lei – replica il pm – non gli ha detto solo questo, gli ha detto: “Caro Giuseppe non è che stai raccontando che ci sono io di mezzo a queste cose?». «Non esiste proprio», risponde deciso Filippone. Ancora il pm: «Quindi non è vero che Calabrò dopo che spara ai carabinieri e non li ammazza la prima volta, viene da lei e lei gli dice: “Bisogna continuare”, compiaciuto comunque di quello che aveva già fatto». Filippone si difende: «Non è vero questo, ve lo posso giurare». Poi nega di appartenere alla massoneria: «Non ne so nulla».

Fin qui, dunque, le parole di Filippone che proseguirà l’interrogatorio continuando a negare strenuamente di essere il mandante del duplice omicidio. Tuttavia, leggendo le parole del pm, quell’ammissione, seppur parziale e riguardante un episodio singolo, rappresenterebbe un dato da valorizzare perché darebbe sostanza alle parole di Villani. Ed anche a quelle di Giuseppe Calabrò.

 

Consolato Minniti