È il primo febbraio del 1994, quando l'appuntato Bartolomeo Musicò viene ferito gravemente da un gruppo di fuoco, mentre è di pattuglia sulla SS 106, assieme al collega Salvatore Serra. L'agguato s'inquadra in una strategia precisa della 'ndrangheta. Qualche giorno prima, sull'autostrada A3, all'altezza dello svincolo di Scilla, vengono uccisi i carabinieri Fava e Garofalo. Si comprende come ci sia una strategia precisa dietro quegli attentati agli uomini dell'Arma. L'allora capo della Criminalpol regionale, Arturo De Felice, afferma che «Reggio si sta confermando la capitale dell'eversione mafiosa». Parole profetiche, ma che dovranno attendere oltre vent'anni prima di poter trovare riscontro. In un primo tempo, infatti, per quegli agguati vengono individuati solo gli autori materiali. Si tratta di Consolato Villani e Giuseppe Calabrò. I due, dopo varie vicissitudini, vengono condannati. Ufficialmente si tratterebbe di azioni isolate, ma le indagini condotte dal pm Giuseppe Lombardo, con il coordinamento del procuratore capo Federico Cafiero de Raho e del sostituto della Dna, Curcio, forniscono una verità diversa: quei fatti furono causati da una strategia stragista di 'ndrangheta e cosa nostra per destabilizzare lo Stato italiano.

 

Ora, a distanza di 24 anni, Musicò è tornato sui luoghi della sparatoria, nei pressi dello svincolo di Saracinello, zona dove sia Villani che Calabrò abitavano con le rispettive famiglie. Noi abbiamo raccolto le sensazioni di Musicò, nel giorno del ricordo della morte degli appuntati Fava e Garofalo. Nel video ci sono anche le dichiarazioni del carabiniere, rilasciate poco tempo dopo l'agguato ai microfoni della trasmissione di RaiDue "Mixer".