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Dall’omicidio del generale Dalla Chiesa a quello più recente di Francesco Antonio Alvaro. Simone Canale, con i suoi verbali d’interrogatorio, è il pentito che guadagna le prime pagine delle cronache. Alle pendici dell’Aspromonte, la gola profonda, ex uomo degli Alvaro, di fatto non ha mai vissuto. Della storica famiglia ‘ndranghetista di Sinopoli, però, sa molto.
Canale è un fiume in piena, con le sue dichiarazioni riempe pagine e pagine di verbali. Il suo è un racconto drammatico che inizia da quando era bambino. Racconta di avere avuto un'infanzia complicata, una famiglia difficile, "disgregata", di essere stato costretto a subire continue violenze, di aver assistito a violenze. Da qui l'inizio della sua vita "per strada", senza fissa dimora. Prima entra in contatto con i siciliani, poi coi calabresi. Inizialmente piccoli reati, assegni a vuoto, furti, poi arrivano le truffe, quindi le rapine, la droga e le armi.
A soli diciannove anni fu battezzato dal clan Raso «rivestendo da subito il ruolo di “picciotto”». Entrato, poi, nel clan Alvaro, in particolare del gruppo dei “russi”, nel 2014, proprio nel carcere di Biella fu elevato al rango "sgarrista" da Antonino Penna, suo padrino e mentore, rappresentato dai verbali come uno spietato esponente di primo piano del clan di Sinopoli. «Mi fu descritto come un sanguinario 'ndranghetista degli Alvaro. Nel carcere iniziò ad apprezzarmi e mi disse: "Ora non sei più solo, tu hai una famiglia"».
Sarebbe stato proprio Penna – racconta Canale al pm antimafia di Reggio Calabria Giulia Pantano - ad indottrinarlo sulla storia ma anche sui segreti degli Alvaro, per conto dei quali – prima di saltare il fosso – avrebbe dovuto consumare due omicidi al nord. «Ho capito piano piano che non sarei più uscito dalla 'ndrangheta perché non me lo avrebbero mai consentito. Capii che sarei rimasto suo "soldato" anche se fossi stato scarcerato». Canale racconta addirittura di essere stato costretto a lasciare la sua fidanzata perché coniugata e «nella 'ndrangheta non è concesso ad un affiliato stare con donne coniugate, almeno negli Alvaro. Penna parlava della legge dell'Apromonte e delle vere regole sociali». Poi la conoscenza con Nicola Alvaro «vecchio capo bastone degli Alvaro che – racconta il pentito - fu l'esecutore materiale dell'omicidio del generale Della Chiesa».
Una “carriera” criminale la sua che si consuma presto, dentro quel mondo, la ‘ndrangheta che oggi accusa autoaccusandosi.