Circa duecento persone in chiesa, una cinquantina assiepata all’esterno. Un lungo applauso all’arrivo del feretro e uno alla sua ripartenza. Altri battimani, sinceri e copiosi, pioveranno durante la liturgia. Cetraro, piccolo borgo del Tirreno cosentino, ha reso omaggio così a Silvio Aprile, storico titolare del bar “I Mulini” deceduto domenica scorsa all’età di 77 anni. La sua è una storia esemplare: vittima d’usura, esattamente vent’anni fa trova la forza di denunciare i suoi aguzzini. Fa nomi e cognomi di persone che appartengono al clan Muto e, di lì a poco, la sua denuncia crea i presupposti per farli processare e poi condannare. 

«Ha conosciuto i lupi, intesi come uomini cattivi. E li ha affrontati con le armi giuste: quelle della verità e della giustizia». Don Ennio Stamile, di Silvio, era amico personale. La sua omelia è di quelle potenti, che lasciano il segno. Il prete, noto per il suo impegno antimafia, l’ha costruita quasi interamente su un pensiero di Sant’Agostino: «La speranza ha due figli: indignazione e coraggio». 

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Il Don scandisce bene la parola chiave: «Indignazione». Se ne riempie la bocca: «Indignazione». E quella che, tanti anni addietro, ha determinato l’imprenditore a osare laddove nessuno, prima, aveva mai osato. Non a caso, ancora oggi la cosca Muto è una delle poche in Italia, se non l’unica, che procede a ranghi compatti, senza defezioni. Nemmeno l’ombra di un pentito da quelle parti, e tutt’intorno una fascinazione che sa di complicità.

Il parroco rievoca un episodio avvenuto alcuni anni prima, quando una foto di Franco Muto circolata su Facebook, raccolse in poche ore 386 like. «Lo dissi allora e lo dico anche oggi: ma cosa vi piace di Franco Muto? Ha rovinato la storia e la cultura millenaria di questa cittadina». Il coraggio, dunque, con sullo sfondo una certezza: «Che di fronte al male, non possiamo non indignarci. In caso contrario, non possiamo definirci uomini». 

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Vincenzo Luberto cede alla commozione.  È lui che, all’epoca, da giovane magistrato della Dda, raccoglie la testimonianza di Silvio Aprile e la traduce in atto d’accusa contro i suoi aguzzini. È il primo che vede accendersi in lui la fiammella del coraggio. Si mette con le mani a protezione di quella fiammella, che diventa fiaccola, poi incendio. Il seguito è noto: da testimone di giustizia, Silvio Aprile non va via da Cetraro, ma investe l’indennizzo ricevuto dallo Stato nella sua attività e la riporta all’antico splendore. È la banalità del bene, che però così banale non è. 

«I Mulini sono stati e sono un punto di riferimento per tutta la costa tirrenica» aggiunge Stamile. «Questo in virtù delle grandi capacità imprenditoriali di Silvio e della sua volontà di scegliere sempre il meglio che si poteva scegliere. È la stessa capacità che dovrebbe avere la politica». Tra i banchi non c’è il sindaco Ermanno Cennamo, ricoverato a Parma. Ne fa le veci il suo vice Tommaso Cesareo. Da Cosenza, è arrivato anche il primo cittadino Franz Caruso. Di fianco a lui siede Giuseppe Aieta, che da sindaco della cittadina intitolò una piazza ad Andrea Aprile, il figlio di Silvio morto trent’anni fa in un incidente stradale. 

«Lui e i suoi familiari hanno dovuto sopportare anche questo macigno» sottolinea in conclusione il parroco. C’è un posto vacante in prima fila. Ed è lì che idealmente siede la paura. È il convitato di pietra, non si vede ma c’è. Don Ennio lo sa, ma di una cosa è altrettanto certo: dalla vita esemplare del suo amico, passa la conferma della massima agostiniana: «Ora che Silvio Aprile non c’è più, la speranza è che tanti seguano il suo esempio».

Un concetto ripreso da uno dei suoi nipoti, che nella vita fa il carabiniere. «Sono venuto in divisa perché so che tu ne eri fiero» dice dal pulpito, rivolgendosi direttamente a quello zio che, tanti anni fa, gli ha insegnato «a non abbassare la testa». Nonostante le amarezze, i dolori, la malattia, Silvio Aprile era un uomo dotato di grande ironia. L’ha conservata fino all’ultimo, come ha raccontato un’altra nipote, rimasta vicina al nonno nelle sue ultime ore di vita. «Quando mi sono allontanata da lui, ha detto: “Questa ragazza ha pianto tutta la notte. Mi spagnu ca mora».