Un filo rosso lega tutti i delitti consumati sulla costa jonica cosentina nell’ultimo quinquienno. Non si tratta di una guerra di mafia bensì di una strategia di consolidamento del nuovo assetto 'ndranghetistico. La Dna aveva lanciato l’allarme già nel 2016 (ASCOLTA L'AUDIO)
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Un filo rosso lega il delitto avvenuto l'altro ieri notte a Cassano allo Ionio con la lunga scia di omicidi che, da cinque anni a questa parte, insanguina la zona a nord della provincia di Cosenza. Dieci in tutto più un paio di casi di lupara bianca su cui, manco a dirlo, c’è la firma della ’ndrangheta.
Del resto, già nel 2016 la Direzione nazionale antimafia aveva lanciato l’allarme sull’ascesa di nuovi boss pronti a riprendere il controllo delle operazioni criminali nella Sibaritide dopo la crisi determinata dall’offensiva giudiziaria degli anni precedenti. Quei timori, messi nero su bianco nella relazione annuale della Dna, si sono rivelati profetici.
Da Leonardo Portoraro a Pietro Longobucco, passando per Pietro Greco, Francesco Elia, Maurizio Scorza e altri ancora, quello registrato nell’ultimo quinquennio lungo la costa jonica cosentina è un bilancio più che luttuoso, ma che non sembra rimandare all’elenco dei caduti di una guerra di mafia, bensì a una strategia di consolidamento del nuovo assetto ’ndranghetistico attraverso una serie di esecuzioni mirate.
Il sospetto, infatti, è che i due clan un tempo contrapposti – quello dei Forastefano e l’altro dei nomadi cassanesi – abbiano superato ogni conflittualità e che siano oggi una cosa sola. Quei morti, dunque, sarebbero il risultato di epurazioni interne di persone ritenute scomode, inaffidabili o semplicemente di troppo nel contesto del nuovo ordine criminale.
Le ragioni specifiche di ogni omicidio restano a tutt’oggi oscure, dato che le indagini non hanno consentito ancora di arrivare all’individuazione dei colpevoli. Nel frattempo, la Dda ha messo a segno un colpo con il pentimento eccellente di Nicola Acri, che però potrà tornare utile su altri fronti, ma non su questo. L’ex boss di Rossano, infatti, era in carcere dal 2011, dunque poco informato sull’attualità. Il suo pentimento, dunque, ha solo incendiato ulteriormente il clima, lasciando vacante un trono criminale che i suoi eredi non possono più occupare.
Un contesto più che esplosivo, insomma. E in tutto ciò, a farne le spese sono anche innocenti come donne e bambini. Non a caso, la morte di Antonella Lopardo arriva a pochi mesi di distanza da quella di Hanene Hedhli, incolpevole compagna di Maurizio Scorza, e a poco meno di dieci anni dall’esecuzione di Ibtissam Touss e del piccolo Cocò, vicenda quest’ultima che seppur più datata è assimilabile alle altre sia in termini di cause che di pretesti. Con buona probabilità, la riconquista criminale della Sibaritide è cominciata proprio allora ed è in corso ancora oggi con gli effetti nefasti che tutti conosciamo. Una lotta all’ultimo sangue, ma anche senza codici d’onore.