«La ‘ndrangheta è la grande mamma di tutti, anche di Cosa nostra, della Camorra e della Sacra Corona Unita. Spadroneggiava. La famiglia calabrese era la più importante al mondo». A parlare a Reggio Calabria, al processo “’Ndrangheta stragista”, è il pentito Salvatore Annacondia, pentito di mafia ex appartenente alla criminalità organizzata pugliese. Alla sbarra ci sono Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano, accusati di essere i mandanti delle stragi contro i carabinieri, avvenute a Reggio Calabria nel 1994. Annacondia, dopo aver conquistato un potere molto ampio nelle zone di Trani, Barletta, Andria e Bisceglie e Molfetta, inizia a frequentare le famiglie di Cosa nostra, ma soprattutto della ‘ndrangheta lombarda. De Stefano e Tegano su tutti.

La mamma di tutti

Il pentito racconta al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo come «la ‘ndrangheta calabrese è la grande mamma di tutti. Cosa vuol dire? Spadroneggiare. Si può dire che la famiglia calabrese è la più potente al mondo. Perché, dottore – spiega Annacondia – sono persone votate alla morte». Il pentito mette in risalto le qualità criminali dei boss: «Nel nostro ambiente malavitoso, fra uomini di un certo spessore, chi comanda è molto calmo. Io mi innamoravo perché De Stefano, Caponera, quando parlavano erano delle signorine. Le parole venivano stampate e tutti i personaggi di un certo livello sanno farsi valere solo dal parlare. La mafia calabrese si è evoluta nei tempi, ha voluto dominare piano piano». Annacondia dipinge in modo piuttosto netto cosa avvenne all’indomani dell’omicidio di Paolo De Stefano («ucciso dai suoi stessi parenti»): «Le redini di tutta la famiglia De Stefano – Tegano furono prese da Mimmo Tegano. Era il “capo dei capi”, il direttore della mamma. Non c’era foglia che si potesse muovere senza il suo volere. Si lavorava come in un consorzio, tante famiglie, tante aziende ma in un’unica casa».

La decisione di pentirsi

Ma da dove nasce la scelta di pentimento di un uomo fra i più agguerriti della mafia pugliese? Annacondia rivela il suo dramma personale: «Ho deciso di pentirmi per amore di mio figlio, perché di fronte al proprio figlio non c’è malavita che tiene». Il racconto trasuda dolore: «Un giorno venne a trovarmi mia moglie in carcere, era molto triste. Io pensai che lo fosse a causa di una confisca recente. Le dissi: “Giusy non ti preoccupare, stai tranquilla”. Lei però mi rispose dicendomi: «Guarda, io ti sono stata fedele, ma se tu volevi fare la vita che hai fatto era meglio non mettessi al mondo una famiglia, perché, per colpa tua, tuo figlio sta morendo». Cosa era accaduto? Il figlio più piccolo di Annacondia aveva visto in tv la notizia della morte di “zio Michele” che altro non era che il braccio destro di Annacondia, suo uomo di fiducia. Il bambino chiese al padre di questo “zio” che non c’era più e lui rispose che “stava in cielo”. La vendetta del gruppo fu terribile, con diverse vittime. Poco tempo dopo, arrivò l’arresto di Annacondia. Il bambino stava guardando i cartoni animati in tv. Furono interrotti per un’edizione straordinaria del tg ed apparve la foto del padre. Per il bimbo fu un colpo durissimo, tanto che il piccolo esclamò: «Papà come zio Michele», pensando fosse morto. «Iniziarono a portarlo in tutte le cliniche d’Italia – spiega Annacondia – ma era dimagrito molto e quando arrivò il rimprovero di mia moglie, fu come mi avessero ammazzato. Dissi subito a mio fratello: "Vedi quel carabiniere? Appena andate via, chiamalo e digli che gli voglio parlare"». Da lì iniziò la sua collaborazione.