«Ho bruciato la mia vita». Fra le dichiarazioni messe nere su bianco da Tita Buccafusca, nelle sue poche ore da collaboratrice di giustizia, ce n'è una che quasi anticipa l'epilogo tragico che l’attende di lì a poco. E che vale da epitaffio ideale della sua breve, ma travagliata esistenza.

«Ero una ragazzina e non capivo» spiega la donna, ricordando l'origine del suo amore per il boss, scoppiato quando aveva solo quindici anni.  «L'amore mi ha resa cieca. Mio marito entrava e usciva dal carcere. Sentivo la solitudine, ma non capivo. Non capivo neanche il male che facevo agli altri».

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È un percorso introspettivo dei più drammatici, forse il più drammatico, quello che la donna compie in quelle ore. Tutta la sua vita le scorre davanti. E finalmente riesce a guardarsi allo specchio, realizzando l'orrore in cui è sprofondata:  «Si ammazzano e ammazzano come i cani».

Il clan Mancuso è tra le più potenti nel panorama della 'ndrangheta mondiale. Nicola Gratteri ne è certo. Nella terza puntata di "Mammasantissima" trova posto anche il frammento di una sua intervista in cui parla di questa famiglia di 'ndrangheta con toni iperbolici: «I Mancuso – afferma l’attuale procuratore di Napoli - controllano il respiro e il battito cardiaco di attività economiche».

Tita sta per mettersi contro persone di questo tipo. E dalla sua ha una motivazione fortissima: suo figlio. È lui ad animarla, a darle la forza di intraprendere quel passo. «Non voglio che cresca come lui» dice riferendosi al marito.

«È una vita che non mi apparteneva» aggiunge, riferimento implicito alla sua precedente di vita: famiglia di pescatori, gente umile ma perbene, traviata poi dal crimine, dalla fascinazione del male, funestata dalla morte di un fratello e della mamma.  «Sono venuta qui a chiedere la protezione dello Stato perché ho paura. Ho paura che la famiglia di mio marito faccia del male a me e al mio bambino. Ed è per questo che ho deciso di uscire da quella famiglia per sempre». La storia, purtroppo, andrà diversamente.

Le ragioni di quel ripensamento hanno radici profonde. Nella puntata di “Mammasantissima” una possibile spiegazione la offre la criminologa Roberta Bruzzone: «Non ci dimentichiamo che sono donne nate e cresciute in quel tipo di contesto, che sono state in qualche modo indottrinate al punto da pensare che, fuori da quel contesto, non hanno alcuna chance di sopravvivenza. E se collaborano con la giustizia, vengono considerate delle reiette».